Suicidi e forze armate: il silenzio dei globuli bianchi

Pubblicato il 27 Gennaio 2020 alle 17:26
Aggiornato il: 29 Gennaio 2020 alle 16:49
Autore: Nicolò Zuliani

Una questione che in molti si sforzano di non vedere.

Suicidi e forze armate: il silenzio dei globuli bianchi

Qualcuno mi disse che una popolazione è molto simile a un corpo umano. I globuli rossi sono la maggior parte: operai, idraulici, impiegati, politici, venditori, informatici che si occupano di produrre reddito e far girare l’economia. Ci sono le piastrine: medici, infermieri, pompieri, protezione civile che si occupano di riparare e curare.

Poi ci sono i globuli bianchi: militari e polizia che difendono l’organismo e bloccano le infezioni. Ogni gruppo sa che gli altri sono indispensabili, anche se non li capisce davvero. Hanno modi, abitudini e vite differenti. Se all’interno di un gruppo succede qualcosa che non si interseca al nostro, scrolliamo le spalle: non riguarda noi, riguarda loro.

Ma non è così.
Ognuno è necessario alla sopravvivenza degli altri.

Ora: i nostri globuli bianchi hanno un problema.

È serio, dura da troppo tempo, viene taciuto per delicatezza o perché spaventa, ma non si può più ignorare che in Italia tra le forze armate e le forze dell’ordine ci sono quasi due suicidi a settimana, ed è un numero che sta salendo. Nel quinquennio 2014-2019 si sono uccisi 255 lavoratori delle Forze dell’ordine. Nel 2017 erano 28, nel 2018 erano 29, nel 2019 erano 57. Dall’inizio del 2020, si sono uccisi in 6. A dicembre c’è stato il caporalmaggiore Caterina Glorioso, cinque giorni fa ce n’è stato un altro.

Perché?

Su un’app dedicata agli operatori è stato fatto un sondaggio. Hanno risposto 2455 persone, di cui 1931 (79%) hanno detto che il problema è la serenità relativa, e 524 (21%) hanno indicato lo stipendio. Se il secondo è misurabile e, paragonato a rischi, stress e garanzie, è assolutamente insufficiente, il primo è un concetto difficile: la serenità non ha unità di misura né meccanici.

Sì, ci sono i controlli psicologici, in teoria.
Ma non funzionano.

Spesso chi lavora nelle forze armate non parla per paura di ritorsioni che finiscono nelle note caratteristiche, o nei profili sanitari che ti fanno finire con il congedo in mano. Chiunque si rivolga a uno psicologo si vede ritirare armi, distintivo e tesserino: in buona sostanza, viene sospeso dal servizio. Basta una risposta sbagliata per essere bollato come pazzo, e se te lo puoi permettere vai da un professionista all’esterno.

Altrimenti tieni tutto dentro.

Per le donne c’è la questione della maternità: appena hanno un figlio ricevono il trasferimento temporaneo “vicino a casa”, che per lo Stato significa fare 400 chilometri al giorno per essere sul posto di lavoro. Se non ti va bene, torni in sede – che è anche più distante.

La serenità lavorativa è quella cosa che non ti fa dormire la notte, quando pensi di continuo al collega che ti detesta, al comandante che si crede Dio in terra, alle liti e ai litigi che hai con coniuge o vicini di casa… con la differenza che tu hai in casa c’è un pulsante magico a forma di grilletto capace di risolvere tutto. Solo chi lavora con le armi sa quant’è pesante averne una in casa. Una parte della tua testa non la abbandona mai, magari perché senti tuo figlio che gioca e ti ripeti trenta volte che sì, è al sicuro, poi alla fine vai a verificare lo stesso. Ce l’hai lì che ti pesa sul fianco mentre il superiore ti tratta come una pezza da piedi.

Di tutto questo non si parla.

Forse perché a noi civili-globuli rossi non piace l’idea che anche i nostri difensori siano esseri umani. Ci terrorizza l’idea che possano crollare, che venga a mancare la linea di difesa tra noi e quelli che tirano bottiglie ai pompieri, o che attaccano le ambulanze. Forse perché parlare dei suicidi rischia di portare alle emulazioni; girano da tempo delle linee guida per chi, come me, scrive di lavoro.

Forse perché i social sono un mondo in cui l’empatia è un difetto di cui vergognarsi, o forse perché – ma spero di no – c’è ancora quella mentalità da liceali ricchi per cui se ti preoccupi del benessere degli operatori sei un “amico delle guardie”, cosa stupida fin dai tempi di Pasolini.

Qualunque sia il motivo, è ora che questa storia venga resa di pubblico dominio e che le cose cambino. Non solo perché un organismo senza globuli bianchi ha vita breve, ma perché davanti a chi sceglie e giura di dedicare la vita alla Repubblica, il minimo che possiamo fare è offrirgli aiuto o un orecchio, quando cadono.

O quando altri non vogliono ascoltare.

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
Tutti gli articoli di Nicolò Zuliani →