Congresso IDV: considerazioni

Pubblicato il 8 Febbraio 2010 alle 12:25 Autore: Salvatore Borghese

Di Pietro ha presentato, a supporto della sua candidatura, una mozione politico-programmatica. Non una semplice mozione di princìpi generali ed astratti intenti, bensì un vero e proprio programma politico di ampio respiro, lungo ben 87 pagine. Programma scaturito dal lavoro dei vari dipartimenti tematici (molto evidente in questo senso è l’influenza di Maurizio Zipponi, da pochi mesi a capo del dipartimento Lavoro, nella sezione dedicata alle ricette economiche anti-crisi), ma anche da una lunga opera di “emendamento” dei vari punti programmatici, enunciati lo scorso settembre nel raduno di Vasto, da parte dei navigatori del portale web del partito, che nei mesi scorsi hanno postato, con i loro commenti, centinaia di suggerimenti per modificare o integrare vari aspetti di ognuno degli undici punti principali. Chi scrive ha avuto modo di leggere, in precedenza, le varie mozioni dei tre candidati alla segreteria del PD durante il congresso dello scorso autunno: ebbene, la mozione di Di Pietro non ha nulla da invidiare a quelle di Bersani, Franceschini o Marino, in termini di visione politica della società; ed anzi, risulta essere (anche grazie alla sua lunghezza) anche più ricca di proposte programmatiche concrete. Da ieri dunque l’IDV non è più un partito/movimento che vive “alla giornata”, ma ha un programma tangibile, approvato dalla sua base rappresentata dagli oltre 3.000 delegati eletti dagli iscritti. Ed è questo, più che presunte “giravolte” o “cambi di marcia”, il senso di quanto affermato da Di Pietro sulla necessità di essere non più solo un partito di opposizione, ma anche di “alternativa di governo” – che poi era anche il titolo della manifestazione di Vasto di metà settembre. E sempre in quest’ottica va letta l’intenzione di presentare un nuovo simbolo a breve, mettendo in secondo piano, o addirittura eliminando, il nome del fondatore-padrone-presidente.

In verità Di Pietro aveva uno sfidante: il “pittoresco” deputato campano Franco Barbato, che non ha presentato un proprio programma alternativo, ma si è proposto semplicemente come sfidante per la presidenza nazionale. La sua candidatura era minata da vizi formali non indifferenti: le firme raccolte a sostegno erano insufficienti, e lo stesso Barbato non risultava iscritto al partito (!). Eppure Di Pietro ha comunque concesso a Barbato lo status di sfidante: ma nel suo discorso in chiusura di lavori, poco prima del voto per il presidente, Barbato ha affermato che “la missione”, per la trasformazione in partito organizzato, democratico e aperto, fosse “compiuta”, e ha ritirato la sua candidatura.

Quella di Di Pietro è rimasta dunque l’unica candidatura in campo, e per di più, a differenza di quanto previsto per l’elezione dei coordinatori dei dipartimenti “Giovani” e “Donne”, il regolamento prevedeva che la votazione avvenisse in modo “palese”, quindi per alzata di mano. Una procedura certamente sui generis, che poco ha a che fare con le modalità adottate nei partiti che eleggono democraticamente i loro vertici, e che ricorda piuttosto certe procedure viste in altre realtà politiche, che proprio Di Pietro dice di contrastare nei modi e nei valori.

 

(per continuare la lettura cliccare su “3”)

L'autore: Salvatore Borghese