Coronavirus: cosa resterà di questo circo a tre piste

Pubblicato il 26 Febbraio 2020 alle 18:30
Aggiornato il: 25 Marzo 2020 alle 23:40
Autore: Nicolò Zuliani

Nei tempi di Internet, anche l’allarmismo va fuori moda in un attimo.

Coronavirus: cosa resterà di questo circo a tre piste

Opinioni di esperti, contropinioni, il premier in televisione che manco Berlusconi nei tempi d’oro, opinioni attendibili quanto richieste di VIP, quasi VIP. Soprattutto, una mole disumana di mitomani che confezionano fake news per un istante di celebrità, e una pletora di ritardati che ci crede e le ricondivide.

L’improvvisa retromarcia delle istituzioni che dal giorno alla notte, dopo aver visto i pronostici di crollo economico, tornano in TV a dire che no no no no calmi, non è così grave, abbiamo un pelino esagerato, continuate a prenotare nei b& b abusivi.

Soprattutto, quel che rimarrà è l’hashtag più longevo nella storia dei social network. Non si era mai vista un’indignazione o un “momento storico” durare più di una settimana.

Ci ha insegnato molte cose: su di noi, sugli altri e sui media

Prima di tutto che il nostro è un popolo incontenibile. La nostra anarchia intrinseca, l’italian way del fantasista che disobbedisce a chiunque – e spesso così la sfanga – rende ogni tentativo d’isolamento e quarantena inutile. Chi di dovere ha imparato qualcosa di più su come gestire le emergenze e come comunicarle, chi è in basso ha scoperto che i problemi non vengono tanto dai virus o dalle istituzioni, ma dal proprio vicino di casa.

Un motivo in più per volergli sparare, dirà l’appassionato survivalist con in casa ventordici fucili. Vero, ma un pretesto vale l’altro. Abbiamo visto la vera utilità dei social network: in tempi normali diffondono odio, rabbia e querele per diffamazione, in tempi di crisi diffondono bugie, panico e realtà falsate. Abbiamo visto la vera faccia dei mass media italiani, tra cui merita una menzione d’onore quell’immondizia che comincia con fan e che s’è premurata di rassicurare il popolo con copertine di questo tenore:

E non si possono nemmeno querelare, capite?

Soprattutto, abbiamo visto i nostri anticorpi mentali al lavoro

Al mondo non esiste indignazione o gogna social che superi il lunedì mattina, Temptation island o Uomini e donne. La psicosi del coronavirus è stato un primo assoluto e dopo i primi tre giorni di apice, ora sta sciamando nella quotidianità. La capacità d’adattamento dell’opinione pubblica è reale quanto poco cinematografica, perché la paura lascia spazio alla noia – tranne per i parenti degli anziani deceduti – e al desiderio di novità.

Perché la psicosi si mantenga viva serve la tensione salga costantemente, altrimenti la linea della normalità la raggiunge; a quel punto ognuno vuole tornare a farsi i fatti propri convivendo con questo VIRUS LETALE PEGGIO DELLA PESTE CLICCATE QUI proprio come col resto dei propri problemi. Criminalità, incidenti stradali, malattie a trasmissione sessuale, vicini di casa.

Tra un mese, o due, o tre, appurato che ha una mortalità del 2% e che il contenimento non è riuscito, le persone faranno spallucce. Forse continueranno a curare meglio la propria igiene, di sicuro dovranno smaltire 800 fusti di latte prima della scadenza e abituarsi a non sottovalutare linee di febbre e polmonite.

Come con l’AIDS, che dall’inizio della pandemia ha contagiato 75 milioni di persone e ne ha uccise 32 milioni (dati stimati); il preservativo era diventato un simbolo e un must nelle camere da letto, senza il quale molte persone rifiutavano il rapporto. Oggi, specie tra le giovani generazioni, sei tu che passi per strano se lo metti. Non si muore più, ci si convive.

Per il coronavirus si troverà un vaccino o lo si renderà inoffensivo, e la vita andrà avanti verso un altro hashtag e un’altra psicosi.

Anche stavolta, niente fine del mondo.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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