La storia di Guido – La paura

Pubblicato il 16 Marzo 2020 alle 17:55
Aggiornato il: 19 Marzo 2020 alle 12:23
Autore: Nicolò Zuliani

Quando di miliardi, donne e viaggi ti resta solo rancore, qualcosa è andato storto.

La storia di Guido – La paura


Ciclo della paura: – – – –

Elettra, accovacciata sulla bergere, scorre in fretta il cellulare, poi lo getta su un divano con un gesto stizzito: «Non serve a niente leggere quella roba, ti fa salire solo l’ansia. Ho letto mezza notizia e già mi sembra di respirare male.»
«Allora basta, non leggere» dice Jackson «Chi deve dire… come si dice?»
«Raccontare» sbuffa Guido «Sapete una cosa? Le vostre storielle mi hanno stufato. Ve la racconto io una storia che vale la pena di ascoltare.»

Nessuno obietta. Guido sogghigna e si sistema meglio sul divano. È sulla settantina, occhi neri e capelli bianchi radi, rughe scavate dal sole e dai vizi. Si frega mani lisce e curate, perlustra la platea senza un briciolo di timore, i muscoli del naso arricciati a metà tra disgusto e scherno: «C’era una volta un bambino del sud, come la tua protagonista» dice Guido, indicando Consuelo col palmo della mano «Ma di un’altra generazione. Dalla Sicilia parte per Milano con la neosposina, Carmela, entrambi in cerca di fortuna. Vive con lei e altri sei in una soffitta. Passa da un lavoro all’altro, poi un giorno finisce prima, torna a casa e trova Carmelina sul pavimento che si fa ripassare dal padrone di casa. Allora tira fuori la P38 – al tempo era di moda averla, ce l’avevano tutti – e li secca.

Sembra la classica svolta che ti rovina la vita, no?
Invece la fa cominciare.

Quella volta c’era ancora il delitto d’onore; doveva fare 25 anni, ne fa otto. A San Vittore nei ’70 se studiavi ti davano permessi, lui s’iscrive a giurisprudenza. Esce quando arrivano le contestazioni studentesche, figli di papà che fanno i rivoluzionari, i pecoroni nelle fabbriche che gli vanno dietro. In università i professori han paura di quelli con l’eskimo e l’Unità sottobraccio, regalano il 18 politico. Lui si laurea ed entra in uno studio d’avvocati in neanche una settimana, e lì si apre un mondo. Altro che Milano da bere, era la Milano da bare! C’erano miliardi, migliaia di miliardi da nascondere sottoterra, e quasi nessuno sapeva come fare.

Ma il mio protagonista sì.

Società anonime, fiduciarie in Svizzera, scatole cinesi, se le è inventate lui e pochi altri. Chi voleva costruire qualcosa ma aveva solo contanti andava nel suo studio, si sfogava contro questo paese che non rispetta i visionari, poi i suoi fondi neri diventavano riserve di cassa non dichiarate. Metteva in contatto chi aveva bisogno di un appalto con politici che avevano bisogno di intrattenimento; non le cazzatine di oggi, al tempo si faceva sul serio.

Politici di Prima Repubblica noleggiavano stormi di elicotteri per far arrivare gente in castelli a Praga, ci capiamo? Il mio protagonista vede posti, case, ville, situazioni, feste, ricevimenti che voi non potete pensare, non potete nemmeno concepire. Saint Tropez, Montecarlo, Palm beach, Sotogrande, Capri, Positano, Portofino, Cortina… non potete capire. Anche a vederli, non ci credereste.

Vede un politico portare sua figlia di diciotto anni a farsi deflorare a una festa senza battere ciglio, le donne più belle del mondo passargli per le mani, e poi il mattino dopo in televisione a parlare dei valori dell’Occidente. Da una soffitta, le monetine risparmiate e una moglie bruttina passa ad avere tre Porsche, quattro Maserati, una Ferrari, un Riva che lo aspetta a Cannes e qualunque donna voglia.

«Ecco che fine hanno fatto le nostre pensioni» interrompe Gaia.

«Oh, stàzitta» sibila Guido «Il mondo è di chi se lo prende, è sempre stato così. La vostra generazione sa solo frignare e pretendere. V’attaccate all’uccello del nonno perché ai vostri coetanei manco si alza, oooh, le donne, brrr, che paura. Siete così inutili da essere convinti sia giusto, sia normale vivere come galline in un pollaio. Vi vestite da bambini, vivete nelle camerette coi giochini, i fumettini, i videogiochini e non c’è uno di voi che alzi la testa.

“Oooh, se fossi nato negli anni ‘80”, frignate.
Te lo dico io cosa sarebbe successo: stareste a Brera a girar bulloni, al massimo alla Fiat.

A quarant’anni il mio protagonista ha guadagnato e dilapidato miliardi, scopato le donne più belle del mondo, comprato gli oggetti più rari e preziosi, bevuto e mangiato il meglio che questo pianeta possa offrire, conosciuto chiunque valesse la pena conoscere. Voi vivete in un buco coi giocattoli di quando eravate piccoli, a tocchignarvi e scrivervi caccapupù sul telefonino. Disoccupati, senza figli, a campare coi soldi di genitori palazzinari o contadini. Ridicoli.»

«Ok, boomer» sbuffa Clelia.
«Cristo, sì, ripetilo. Dillo ancora. Boomer. Non avete niente, né passato, né presente né futuro, e tutto quello che sapete fare è dire boomer. Nemmeno una vacca da macello si accontenterebbe di una vendetta tanto sfigata. Voi sì.»

«Stavi raccontando una storia» dice Francesca.
«Sì, arriviamo al finale coi Carabinieri che ti riempiono di botte» fa Clelia.

«Come come come? Stai dalla parte della polizia fascista e oppressiva, adesso?» sogghigna Guido, sporgendosi e incrociando le dita «le forze dell’ordine sono i cattivi, piccola marchettara. T’impediscono di spacciare, di tirare estintori, t’impedirebbero di fare l’unica cosa che la tua generazione è capace di fare: aprire le gambe a gente più potente di voi. E sono tutti, più potenti di voi.»

«Finisci di raccontare o no?»
«Sì, Sì, giusto. Dov’ero? Ah, sì. Bè, lui arrivava la mattina in ufficio e c’erano già gli altri avvocati che pippavano sulla scrivania, tanto non c’era niente da fare, i soldi arrivavano da soli. Lui la mangiava alla segretaria come prima cosa, oramai ce l’aveva al sapore di cappuccino. Erano tutti pazzi, invasati, a Milano potevi tirarti qualsiasi donna in bagno senza aprire bocca, bastava vedessero il Nautilus al polso.

Ma siccome il mondo è imperfetto, una mattina il tizio che si sta ripassando la segretaria vede il trafiletto sul giornale che le ha messo sotto il culo perché non rovini il cuoio: Pio albergo Trivulzi. Lui sapeva molto più dei giornalisti, all’epoca. Sapeva chi era Chiesa e a chi era collegato. E chi era collegato a chi era collegato.

Fai conto di essere uno del 2020 che si trova nel 1912 a bordo del Titanic.

È una giornata delirante, prima urla e prende a cazzotti i colleghi avvocati perché capiscano che fa sul serio, poi passano dodici ore a tritare documenti. Lui in studio ha la polizza vita – così l’aveva chiamata un parlamentare della DC – un’agendina in cui ha segnato tutto e tutti, e di cui molti conoscono l’esistenza. Ha 200 milioni in contanti, il passaporto e le chiavi di una macchina intestata a un vecchio palermitano, che al tempo possedeva una ventina di automobili senza averle nemmeno mai viste.

Se ne va all’estero, in un paese dove l’estradizione in teoria non c’è, ma non si sa mai. Qui c’è la paura, quella vera. Passa mesi chiuso in un appartamento a bere, pippare e ripassarsi tizie che per centomila lire si fanno fare di tutto, con la P38 sottomano perché se arrivano lui ha già deciso che si sarebbe sparato. Alla televisione vede Craxi e le monetine al Raphael, un gigante umiliato da pezzenti che prima potevano comprarsi casa e macchina, oggi frignano per il reddito di cittadinanza.

Aspetta di sentire qualcuno alla porta ogni giorno, ogni minuto.
Quello è l’unico momento in cui ha paura in vita sua. L’unico. Perché in galera non ci torna, non torna in mezzo alle bestie da cui è nato. Ora scommetto che servirebbe un colpo di scena, una punizione, giusto? Ma non succede. È salvo. S’arrabatta e torna a Milano negli anni ’90, si mescola in mezzo ai moralisti post Tangentopoli, riallaccia i contatti con vecchi amici.

Ha ancora qualcosa da parte e decide che è ora di godersi la pensione e di farsi le ragazzine della vostra generazione. Siccome l’età è quella che è, si tira dietro un autista tuttofare che per 600 euro al mese, in caso, fa le sue veci. Fine della storia» conclude con un sorriso di trionfo, incrociando le braccia e distendendosi sul divano: «Ora tornate a raccontare le vostre storielline da falliti.»

«Pronto il cocktail» fa Xeni, appoggiando un highball con ciliegia, ananas e ombrellino «Ho pensato un laguna blu fosse adatto. La ricetta originale è un vodka sour colorato con il curacao – già di per sé un orrore – ma ci ho aggiunto un topping di Sprite per renderlo ancora più stucchevole.»

Guido fa un sorso e scoppia a ridere: «Sai quanti ne ho bevuti di questi in discoteca, quand’ero giovane? Li facevano proprio così. Brava pelata.»

Xeni accenna un inchino e torna al bancone.

L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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