Coronavirus: come si trasfomerà il lavoro dopo la pandemia

Pubblicato il 31 Marzo 2020 alle 19:49
Aggiornato il: 5 Aprile 2020 alle 23:40
Autore: Linda Sogaro

Coronavirus: come si trasfomerà il lavoro dopo la pandemia. Ecco alcuni numeri sui lavoratori impiegati nello smartworking e previsioni sul futuro

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Questo periodo di emergenza coronavirus che ormai sta andando avanti da settimane, ha inciso trasversalmente su tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana. Ha messo in ginocchio il sistema sanitario, economico, la nostra routine familiare e lavorativa. Allo stesso tempo però, la maggior parte delle aziende rimaste attive sta sperimentando un modo diverso di portare avanti la produttività: la vita continua, seppure lentamente, avvalendosi del supporto degli strumenti digitali.

In che modo lo smartworking sta cambiando il modo di guardare il lavoro? Diversi studi e ricerche ce lo raccontano attraverso dei numeri, rispetto a un cambiamento che sta avvenendo in questo momento e che, con ogni probabilità, lascerà le sue impronte anche dopo.

Coronavirus e smartworking: pro e contro

La massiccia riduzione dell’inquinamento ambientale è tra le prime conseguenze del lavoro agile. Stando a casa, viene risparmiato ai lavoratori il tragitto: i mezzi pubblici, che in questo periodo ancora funzionano ma sono notevolmente ridotti, hanno di conseguenza un impatto minore sull’ambiente. Soprattutto nelle grandi città, le conseguenze di questo momento hanno portato a manifestazioni della natura impensabili, come è accaduto ai canali di Venezia.

Oltre a questo, i vantaggi dello smartworking sono conducibili alla qualità e alla produttività stessa del lavoro: un approccio quantitativo viene sostituito da uno qualitativo, dove il raggiungimento degli obiettivi è primario rispetto alla misura del tempo speso a lavorare. Realizzare con facilità gli obiettivi di lavoro, rispettare le scadenze, un aumento degli incarichi portati a termine con successo: sono dirette conseguenze del lavorare da casa. Ore e fatica spese in dinamiche logistiche e in spostamenti, nonché nella gestione del tempo che rimane, vengono risparmiate a favore di un’ottimizzazione e un bilanciamento migliori di tutti gli impegni della giornata. Maggior tempo libero è associato a maggiore produttività e a un incremento della motivazione.

Non mancano degli aspetti negativi, che comunque non incidono sul grado di soddisfazione generale degli smartworkers. Il telelavoro diminuisce le interazioni reali a favore di quelle digitali, la mancanza di confronto e momenti sociali con i colleghi potrebbe essere uno svantaggio per molti: aumenta l’insicurezza rispetto all’organizzazione del lavoro nella sua complessità, senza contare il maggior peso dell’onestà del dipendente, che deve saper bilanciare lavoro e aspetti della vita personale, anche se questi hanno luogo negli stessi spazi. In genere i datori di lavori temono di poter gestire e controllare meno il rendimento dei propri dipendenti. Tuttavia, queste difficoltà stanno per essere del tutto risolte dal boom di piattaforme come Slack, Zoom, Skype e molte altre.

Alcuni dati

L’Osservatorio del Politecnico di Milano, prima dell’arrivo della pandemia coronavirus, censiva 570 mila smartworkers in Italia e prevedeva 5 milioni di lavoratori da remoto potenziali. Una volta inasprite le misure del contenimento del contagio, altri 554.754 lavoratori si sono aggiunti al conteggio e potrebbero aumentare, senza contare che in molti non vorranno tornare alla situazione precedente, per i vantaggi di flessibilità guadagnati.

Alessandro Gandini e Elisa Garavaglia, sociologi dell’Università Cattolica di Milano, hanno lanciato un’inchiesta sul lavoro ai tempi del coronavirus, che riporta alcune percentuali interessanti rispetto all’idea di chi lo svolge quotidianamente.

L’80% di chi ha risposto è un dipendente precedentemente impiegato in in ufficio: il 53% ha rinunciato ad appuntamenti lavorativi, un 33% li ha invece sostituiti in forma digitale. Anche se la maggior parte dei lavoratori ammette di sapere utilizzare le piattaforme senza alcuna difficoltà, un buon 60% ammette di sentire la mancanza di interazioni sul lavoro. Questo però è anche connesso alla costrizione nell’ambiente domiciliare, che la popolazione è chiamata a rispettare per motivi di prevenzione.

La percezione generale è che il lavoro sia quantitativamente ridotto, anche se nella maggior parte dei casi i carichi non sono diminuiti. Il 23% dichiara invece di percepire un aumento del carico lavorativo e delle responsabilità di cura, questo perchè anche i bambini sono a casa e non vanno più a scuola.

Sarà interessante vedere come questi numeri si modificheranno ancora, una volta terminata la fase emergenza.

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L'autore: Linda Sogaro

Laureata in "Psicopatologia Dinamica Dello Sviluppo" presso la Sapienza, Università di Roma. Specializzata in Social Media, ha collaborato con diversi blog e testate di critica teatrale. Appassionata di scrittura, psicologia e teatro, collabora con Termometro Politico da Maggio 2019.
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