Domiziano, il signore delle mosche dell’antica Roma

Pubblicato il 17 Giugno 2020 alle 18:01 Autore: Nicolò Zuliani

La Storia è fatta di aneddoti e dettagli, più che di nomi e cifre. Potremmo provare a insegnarla così.

Domiziano, il signore delle mosche dell’antica Roma

L’antica Roma era uno spettacolo di magnificenza e bellezza, ma aveva problemi che noi oggi non possiamo nemmeno immaginare. Noi abbiamo fogne, elettricità, acquedotti – quest’ultimi anche Roma, ma non in casa – e soprattutto abbiamo un’invenzione banalissima: l’insetticida.

Ci spalmiamo con l’Autan, accendiamo zampironi, abbiamo lampade che folgorano i dannati insetti e basta una zanzara a infastidirci. Il cibo lo conserviamo in scatola o nei frigoriferi, i torsoli della frutta li buttiamo nel cestino dell’umido. Tutte cose che abbiamo assimilato e imparato a fare nei secoli.

Ai tempi dell’imperatore Domiziano no.

E se Domiziano odiava qualcosa erano proprio le mosche. Su Vite dei Cesari di Svetonio si racconta che il regnante passasse interi pomeriggi a dar loro la caccia per poi, una volta prese, trafiggerle con uno stiletto acuminato. Il suo fastidio era ben noto a servitori, amici e uomini di fiducia che ci scherzavano su.

Un giorno arrivò un tizio qualunque e chiese a Quinto Vibio Crispo, console e miliardario che bazzicava a palazzo, se Domiziano era lì. Quinto strinse le spalle e disse «No, non vola una mosca», modo arguto per dire che l’imperatore aveva fatto quel che doveva e se n’era andato.

Questo detto e questa storiella diventarono celebri e rimase nel gergo comune mentre l’impero crollava e i secoli passavano, arrivando fino alle scuole del 1889, dove un giovanissimo Pirandello ne rimase ispirato e ci scrisse la poesia La caccia di Domiziano. Oggi quella poesia è criptica perché contiene riferimenti alla mitologia greca e alla Storia romana, ma quel detto pronunciato quasi duemila anni fa continuiamo a usarlo oggi in Internet o nei bar. Credo non esista una metafora più potente per spiegare la Storia a qualcuno che si domanda a che serve impararla.

Non è solo interesse, è una mappa.

Chi passa abbastanza tempo sui libri di Storia forma il proprio cervello a osservare le cose non come una novità, ma come un ciclo semplice e ripetitivo a cui ogni volta s’aggiunge un livello. Se sai cosa t’aspetta sai cosa cercare, dove guardare, sai che le emozioni sono una bella cosa ma falsano percezione e prospettiva, mentre il distacco ti permette di vedere la direzione generale e ignorare i falsi positivi o gli sbalzi statistici.

Alla fine ti accorgi che la Storia non è altro che un modo di dire che si tramanda cambiando lingua, oratore, luogo, leggi, tradizioni per sopravvivere. È un’idea che può spaventare alcuni e tranquillizzare altri, ma questo è.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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