(il)legittimo impedimento?

Pubblicato il 8 Gennaio 2011 alle 00:12 Autore: Andrea Carapellucci
riforma della Giustizia tribunale

La legge integra ed interpreta l’art. 420-ter del codice di procedura penale, che disciplina, in via generale, l’ “impedimento a comparire dell’imputato o del difensore” stabilendo che, nell’ambito del processo penale, sia rinviata ogni udienza quando l’imputato non sia presente per “caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento”.

Il processo penale infatti, fatto salvo il caso della contumacia (ipotesi peculiare e – tra l’altro – al centro del noto “caso Cesare Battisti”), si deve svolgere in presenza dell’imputato e del suo difensore, per garantire il suo diritto di difesa. L’assenza dell’imputato all’udienza determina quindi il rinvio dell’udienza stessa, sempre che dipenda da cause eccezionali, non ascrivibili alla sua volontà, e quindi “legittime”. Ma a decidere è il giudice, il quale è chiamato a valutare liberamente la sussistenza di un “legittimo impedimento” dell’imputato.

La vigente “legge sul legittimo impedimento” dispone che “per il Presidente del Consiglio dei Ministri costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell’art. 420-ter c.p.p. il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti ed in particolare dagli artt. 5, 6 e 12 della l. n. 400/1988 dagli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 303/1999 dal regolamento interno del Consiglio dei Ministri dalle relative attività preparatorie e consequenziali nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di governo”. Con riferimento ai Ministri sono riportate previsioni analoghe. Semplificando, si può quindi affermare che qualunque impegno istituzionale, cioè in qualche modo collegato alle funzioni che il Presidente o i Ministri esercitano, costituisce legittimo impedimento a presenziare alle udienze. Non così, invece, gli impegni di partito o elettorali.

Se le previsioni si fermassero qui, si potrebbe parlare di una legge sostanzialmente interpretativa, ed il problema sarebbe stabilire in che misura essa sia in grado di vincolare il giudice, rendendo obbligatorio il rinvio. Infatti, secondo l’art. 420-ter del codice di procedura, non espressamente modificato, egli valuta “liberamente” gli impedimenti dell’imputato. La legge sul legittimo impedimento, però, prevede che “il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti, rinvi il processo ad altra udienza”.

Il successivo comma dell’art. 1 prevede poi che “la Presidenza del Consiglio” possa attestare che “l’impedimento è continuativo”: in questo caso il giudice “rinvia” (obbligatoriamente?) il processo ad un’udienza successiva al periodo di impedimento attestato, che non può essere superiore a sei mesi. Si realizza così una sospensione del processo nel corso della quale il decorso della prescrizione resta sospeso (il che non avverrebbe nel caso di rinvio occasionale dell’udienza per legittimo impedimento).

Come si vede, la legge al vaglio della Consulta non è di agevole interpretazione. In particolare, essa non chiarisce in modo univoco due aspetti fondamentali: se il rinvio dell’udienza (o la sospensione del processo, nal caso di impedimento continuativo) sia automatico e obbligatorio per il giudice e se quest’ultimo possa sindacare la legittimità dell’impedimento addotto dall’imputato-presidente del Consiglio o Ministro.

Verosimilmente, è proprio su questa incertezza di fondo (e non sulla volontà di trovare una soluzione “pilatesca”) che si fonda l’ipotesi – ventilata dalla stampa – di una c.d.  “sentenza interpretativa di rigetto” della Corte, sulla quale torneremo in seguito.

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L'autore: Andrea Carapellucci

Analista giuridico di TP, si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino ed è dottorando in Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano.
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