(il)legittimo impedimento?

Pubblicato il 8 Gennaio 2011 alle 00:12 Autore: Andrea Carapellucci
riforma della Giustizia tribunale

Le questioni di costituzionalità

Nel nostro ordinamento, i privati cittadini non possono adire la Corte Costituzionale perché giudichi la compatibilità di una legge con la Costituzione. Nel caso di specie (che rientra nell’ipotesi più comune) le questioni di costituzionalità sono state sollevate dal Tribunale di Milano, nell’ambito di uno dei processi che vedono imputato Silvio Berlusconi, su iniziativa della pubblica accusa. La Consulta sarà quindi chiamata a pronunciarsi su “quesiti” proposti dal Pubblico Ministero e già valutati dal collegio giudicante “non manifestamente infondati”.

Secondo i giudici milanesi la legge risulterebbe incompatibile con due articoli della Costituzione: il 3, che sancisce l’eguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge, e l’art. 138, che disciplina la revisione della Costituzione e l’adozione di leggi costituzionali.

In estrema sintesi, quindi, i dubbi espressi dalla magistratura sono i seguenti: in primo luogo, è possibile, in assoluto, introdurre un privilegio di questa natura per il presidente del Consiglio e i Ministri? In secondo luogo: non è forse necessario, per farlo, una legge costituzionale, così come avviene per le immunità e le altre forme di garanzia degli organi costituzionali?

 

L’udienza e la Corte

Secondo le informazioni pubblicate sul sito della Corte, il “legittimo impedimento” sarà la prima questione ad essere discussa nell’udienza pubblica dell’11 gennaio. A prendere la parola saranno, per Silvio Berlusconi, gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo. Per la Presidenza del Consiglio, che per legge interviene nei giudizi di costituzionalità rappresentata dell’Avvocatura dello Stato, gli avvocati dello Stato Michele Di Pace e Maurizio Borgo.

Il coinvolgimento dell’Avvocatura dello Stato ha suscitato, in questo come in casi simili, numerose polemiche. Infatti, gli avvocati dello Stato,  dipendenti pubblici stipendiati, appunto, dallo Stato,  prenderanno la parola in rappresentanza della Presidenza del Consiglio. Si è detto, quindi, che Silvio Berlusconi potrà contare su due “difese”: quella dei propri avvocati, che lo rappresentano in qualità di imputato nel processo di Milano, come tale interessato alla conservazione della legge, e  quella erariale, a spese dai contribuenti.

In realtà, a voler essere pignoli, le cose non stanno esattamente in questi termini. Innanzitutto, il giudizio riguarda una legge e quindi non vi sono, davanti alla Corte, né imputati, né difensori né accusatori. Le diverse parti che hanno un interesse nel giudizio, intervengono spontaneamente (ma non obbligatoriamente) per sostenere le loro tesi circa le questioni di costituzionalità sottoposte alla corte. In altri termini: Berlusconi non è, in questo caso, un imputato da difendere, ma un privato cittadino che ha interesse a dire la sua su di una legge che, “accidentalmente”, lo tutela. L’Avvocatura dello Stato, poi, non interviene a sostegno del presidente del Consiglio in carica, cioè di Silvio Berlusconi, né – peraltro – della Presidenza del Consiglio intesa come dicastero.

Nel nostro ordinamento, infatti, lo Stato partecipa ai processi in cui è coinvolto “in persona” del Ministro competente per materia e del presidente del Consiglio in alcuni casi particolari. In queste occasioni, esso è obbligatoriamente rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, un organismo incardinato – dal punto di vista amministrativo – nella presidenza del Consiglio, ma largamente autonomo. Nei giudizi di costituzionalità, la legge prevede che la Presidenza del Consiglio debba intervenire, senza però chiarirne il ruolo. Per prassi consolidata, l’Avvocatura “difende” la costituzionalità delle norme. Secondo gli studiosi, il suo ruolo non sarebbe quello di parte in senso tecnico, bensì deve rienersi assimilabile a quello che in altri ordinamenti ricopre una figura denominata Avvocato Generale, chiamata a fornire “il punto di vista dell’ordinamento” e quindi a sostenerne, con argomentazioni giuridiche, la coerenza. Senza dilungarsi eccessivamente, quindi, l’intervento della presidenza del Consiglio nel giudizio di costituzionalità costituisce un contributo, in termini di analisi giuridica, al giudizio della Corte e non la “difesa” di una persona, di una istituzione, o della stessa legge di cui si discute.

(per continuare la lettura cliccare su “4”)

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Andrea Carapellucci

Analista giuridico di TP, si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino ed è dottorando in Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano.
Tutti gli articoli di Andrea Carapellucci →