Milleproroghe, l’ippopotamo costituzionale

Pubblicato il 3 Marzo 2011 alle 11:22 Autore: Francesca Petrini
Le possibili alleanze di Renzi

L’inserimento nei decreti-legge di disposizioni non strettamente attinenti ai loro contenuti, eterogenee e spesso prive dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, elude il vaglio preventivo spettante al Presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti legge: il Presidente, infatti, dopo aver emanato un decreto con un certo contenuto, si trova nella condizione di dover promulgare, magari a ridosso della scadenza dei 60 giorni previsti dalla Costituzione (come in questo caso), un testo completamente diverso, trasformato e decisamente più corposo. È chiaro che una procedura di tal fatta quasi “preclude” la possibilità di un rinvio presidenziale dal momento che a quel punto diventa preminente la considerazione circa la decadenza del decreto stesso con effetto retroattivo, come se il decreto non fosse stato mai emanato. Sebbene il Parlamento possa stabilire per legge di far salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto decaduto per decorrenza dei termini di conversione, s’intuisce come ciò comporti una cattiva qualità della legislazione, oltre che gravi problemi quanto a certezza del diritto. Ad ogni modo, nella lettera del Presidente della Repubblica si può leggere anche della degenerazione del procedimento di conversione dei decreti legge che li vede “ingrassare” a dismisura nell’arco di 60 giorni, laddove si sottolinea come l’eterogeneità e l’ampiezza delle materie non consentano a tutte le Commissioni competenti di svolgere l’esame referente richiesto dall’articolo 72, comma 1 della Costituzione. Si tratta quindi di una violazione del principio istruttorio che di fatto realizza una pesante compressione del ruolo del Parlamento.

milleproroghe

La prassi degenerativa del procedimento di decretazione d’urgenza, paragonabile a quella che fu la “reiterazione” per frequenza dei casi e l’imponenza delle conseguenze sul piano giuridico, e di cui il mille proroghe è solo un esempio, sembra quasi configurarsi alla stregua di una nuova e diversa forma di iniziativa legislativa governativa, di fatto inemendabile ed evasiva rispetto alla funzione di indirizzo e controllo propria dell’organo parlamentare. Indice di ciò è pure la decisione di porre la questione di fiducia, ovvero un solo voto di approvazione o respingimento, sul secondo maxiemendamento interamente sostitutivo del decreto che, sebbene successivo alla lettera di Napolitano, non pare aver significativamente ridotto la mole del provvedimento e l’entità delle disposizioni illegittimamente inserite nel procedimento di conversione. Se la funzione del Parlamento si è trovata così svilita, la discussione ridotta al minimo e la possibilità di votare emendamenti da parte dell’assemblea completamente azzerata, si noti che la decisione governativa di porre la questione di fiducia non è scevra da considerevoli conseguenze anche con riguardo all’espressione plurale e democratica interna alla maggioranza stessa: tra gli altri, ammutoliti dal grido “o con noi o contro di noi” sono stati infatti gli amici campani del Pdl per il mancato blocco delle ruspe, gli alleati della Lega per il fallito arresto della “tagliola ammazza precari” ed i responsabili Scilipoti e Romano per quanto concerne le restrizioni sui rimborsi dovuti dalle banche ai cittadini a causa del c.d. anatocismo (ovvero la capitalizzazione degli interessi su un capitale: in parole povere il calcolo degli interessi sugli interessi).

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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