Dossier: la riforma della Giustizia

Pubblicato il 12 Marzo 2011 alle 12:08 Autore: Francesca Petrini
riforma della Giustizia tribunale

Il progetto di revisione costituzionale affronta il tema della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, già trattato al tempo della Bicamerale presieduta da D’Alema tra il 1996 e il 1998. Esso prevede anzitutto la riforma del tanto criticato CSM, che verrà appunto diviso in due parti. In particolare, per quanto concerne la composizione del CSM “requirente”, la riforma prevede che esso si occuperà della nuova categoria (separata) dei pubblici ministeri: sarà composto per una metà da membri “laici” nominati dal Parlamento e per l’altra da giudici togati eletti nelle categorie di riferimento. Si prevede inoltre che la vicepresidenza spetti ad uno dei membri laici, e che sia il Capo dello Stato a presiedere. Ancora, si stabilisce la regola di avere un membro di diritto per parte, ovvero il primo Presidente di Cassazione per il CSM giudicante e il Pg della suprema Corte nel CSM requirente. La durata in carica sarà di quattro anni. Per quanto riguarda il sistema di voto, si presume che il voto del vicepresidente varrà doppio in seno al plenum. Con ciò, a detta del Presidente del Consiglio, si costruirebbe una riforma che realizza pienamente i princìpi del giusto processo, affacciatisi nel 1999 con la riforma dell’articolo 111 della Costituzione e che, di fatto, sono rimasti inapplicati a fronte della mancata separazione delle carriere di giudice e pubblico ministero.

riforma della Giustizia

Il progetto di riforma non si ferma qui, ma tocca diversi profili fondamentali del processo penale: dalla inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado, alla ridistribuzione dei poteri di iniziativa investigativa, all’introduzione del concetto di responsabilità personale per i magistrati che sbagliano. In merito a quest’ultimo punto, ad esempio, si noti che la definizione specifica di “colpa” professionale del magistrato ancora non esiste e che questo aspetto, così come altri 9 previsti nel progetto di riforma costituzionale (incluso quello relativo alla Corte disciplinare chiamata a giudicare il togato che sbaglia) dovranno essere regolamentati da 11 leggi attuative di rango ordinario.

Interessante è la parte che riguarda l’attribuzione di maggiori poteri investigativi alla polizia giudiziaria: se è vero che tale riforma ha come obiettivo ultimo quello di ristabilire la parità tra accusa e difesa, a favore di tutti cittadini che come tali vivono anche nel e del sistema giudiziario, non sembra facile spiegare come si giustifichi una maggiore confusione fra i poteri giudiziario e legislativo. Prevedere che nel caso di “emergenze sociali” il legislatore possa indicare una scala di priorità per le attività di indagine, appare un passo indietro rispetto al principio basilare di ogni democrazia, ovvero quello della separazione dei poteri che tende a definirli, e perciò a limitarli, in funzione di una maggiore garanzia dei diritti inderogabili di ogni persona. Il dato essenziale pare essere quello per cui si svincolano di fatto le indagini di polizia giudiziaria dalle disposizioni dei magistrati inquirenti, e si sottopongono gli istituti di autogoverno a una forte iniezione di politica: mancano così i “checks and balances”, i meccanismi di equilibrio tra poteri dello Stato, e c’è un potere legislativo che sovrasta il giudiziario. In tale contesto poi, vale la pena di ricordare che dalla prassi parlamentare degli ultimi anni è nata una sorta di confusione tra chi è legislatore e chi è esecutore: oggi chi ha la maggioranza “vince” su tutti e non c’è opposizione che tenga perché il principio che si tende a far valere interpreta la sovranità popolare non in senso costituzionale, come esercizio del potere “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ma in senso assoluto, come se il criterio numerico della maggioranza facesse da solo “democrazia”. È certo poi che dell’obbligatorietà dell’azione penale non si debba fare un tabù: se nelle procure italiane oggi tale regola viene osservata, sarà bene valutarlo e discuterne alla luce di quei numerosi fascicoli che si accumulano sulle scrivanie dei tribunali e che, in qualche modo e con qualche ordine, devono pur essere smaltiti.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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