Quando i veneti menarono gli spartani

Pubblicato il 10 Luglio 2020 alle 18:11 Autore: Nicolò Zuliani

E tutto questo quando nemmeno esisteva la grappa. Ammirevole quanto incredibile.

Quando i veneti menarono gli spartani

Nel Ab urbe condita di Tito Livio c’è un bell’episodio che va prima contestualizzato per non urtare la sensibilità degli appassionati dell’antica grecia. Nel 331 a.C. la gloria di Sparta era tramontata dopo l’ultimo, disperato ed epico guizzo di re Agide III che scelse di morire contro le spade macedoni da eroe, assieme ai pochissimi spartani rimasti, e in nome della libertà.

Morto il Macedone nel 323 a.C. a Sparta non andò meglio perché arrivarono i romani; il re spartano Cleonino non aveva nessuna intenzione di riportare la propria città agli antichi fasti, gli bastava saccheggiare e scappare. Se non lo faceva abbastanza in fretta finiva male, e infatti le aveva appena prese dai romani nelle regioni salentine quando decise di cambiare aria: prendere il mare e andare lontano, a caccia di gente meno bellicosa da poter saccheggiare in santa pace.

La pessima decisione fu scegliere la pianura veneta, e più precisamente Padova. Ancorò le navi alla foce del Brenta, gli lasciò una scorta minima e procedette coi suoi guerrieri nell’entroterra, riuscendo a devastare minuscoli villaggi di contadini e pescatori. I padovani non se l’aspettavano. Dopo un primo momento di panico – Sparta godeva ancora della propria fama passata – divisero le forze e fecero in modo che una metà aggirasse gli spartani per raggiungere la foce del fiume e distruggergli le barche.

Cleonino si accorse tardi della manovra, che in effetti era impensabile. Consapevole che rischiava di non poter più fare rientro in patria ordinò di tornare indietro per salvarle, solo per finire in una tenaglia. Alle sue spalle era inseguito dai padovani, e davanti a lui ce n’erano altri. La battaglia che ne segue è una carneficina nella quale quasi tutto l’esercito spartano muore, e il re si salva per un pelo a bordo di una delle tre navi sopravvissute.

La vittoria era così insperata, e il risultato così epico, che i padovani segarono i rostri delle navi nemiche, spogliarono i caduti delle loro armature e li portarono nel tempio di Giunone dove li lasciarono in esposizione, per celebrare la vittoria sugli spartani ogni anno per secoli a venire, finché non arrivò la chiesa cattolica che rase al suolo i templi per sostituirli con le chiese e col passare del tempo, di quella battaglia si scordarono tutti. Il peggio, naturalmente, è che di rostri e armature si è persa ogni traccia.

Solo di recente gli addetti ai lavori stanno tentando di fare qualche rievocazione storica.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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