Gli interessi italiani nella crisi libica

Pubblicato il 19 Marzo 2011 alle 00:02 Autore: Francesca Petrini

Di certo all’epoca dei fatti, quando la Libia si apprestava a divenire il maggior azionista di Unicredit, nessuno avrebbe mai immaginato dell’ondata rivoluzionaria che solo pochi mesi dopo ha colpito gli Stati del Nord Africa. E non è difficile immaginare il “nervosismo interno” al più grande gruppo bancario, necessariamente vigile nell’osservare l’andamento delle questioni libiche. Arriva infatti, il 27 febbraio 2011, la risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che impone il blocco dei beni di Gheddafi, della famiglia e della cerchia ristretta dei fedelissimi e l’embargo sull’import/export di armi. Provvedimento inevitabilmente adottato anche dall’Unione europea, in attesa che i Paesi membri si adoperino per un rapido recepimento della normativa. Ed è qui che l’Italia inizia a fare i conti con una serie di interessi da proteggere. A differenza degli Stati Uniti, dove Obama immediatamente interpreta in maniera estensiva l’insieme dei beni appartenenti a Gheddafi, ampliandolo fino a ricomprendere gli stessi fondi sovrani, l’Italia si trova inspiegabilmente incerta di fronte alla difficile delimitazione tra beni direttamente riconducibili alla persona di Gheddafi (e per questo sotto congelamento) e fondi invece appartenenti allo Stato libico, salvi da queste prime direttive. Dunque, forse proprio a causa degli importanti interessi libici nell’economia nostrana e degli altrettanto importanti interessi politici del Governo italiano in Libia, quest’ultimo, pur concordando in toto con le posizioni europee, tiene a precisare l’importanza e la necessità di distinguere in maniera netta i beni di Gheddafi da quelli del popolo libico: ritiene quindi opportuno ricomprendere in questi ultimi le azioni possedute in Unicredit dal fondo Lia e dalla banca centrale libica. Difficile posizione: è possibile immaginare che Gheddafi, al potere da più di quaranta anni, noto per le dubbie doti democratiche, sia effettivamente così lontano da quei fondi? È pertanto corretto affermare che esiste una distinzione netta tra i beni riconducibili in via diretta alla persona di Gheddafi e quei beni che, al contrario, possono legittimamente essere ricompresi nell’insieme dei beni nazionali, e pertanto non propriamente disponibili nelle mani del dittatore? O è semplicemente un modo per prendere tempo, tentare l’impossibile, salvare quegli interessi che altrimenti potrebbero essere schiacciati da un terremoto aziendale, in cui gli altri azionisti Unicredit dovrebbero in qualche modo far fronte, anche a costo di un aumento di capitali?

È bene sottolineare qui la vera natura dei fondi sovrani. Essi altro non sono che fondi di investimento di proprietà governativa che, soprattutto nel caso della Libia e degli altri Paesi produttori di petrolio, consentono di investire ingenti somme liquide, principalmente per isolare il bilancio statale dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime. Allo stesso tempo, i fondi sovrani comportano altri aspetti: uno relativo alla trasparenza, in quanto per la maggior parte di essi non sono pubblicate informazioni sulla reale consistenza e sulle logiche di destinazione; l’altro rappresentato dal fatto che il proprietario ultimo è uno Stato, istituzione sorretta da un potere politico, e che non sempre potrebbe agire secondo logiche di mercato o nel rispetto dei canoni di democraticità degli Stati moderni. Arriviamo dunque, secondo quanto detto, a capire come sia giunta l’Europa, e solo successivamente l’Italia, a considerare indispensabile il congelamento delle quote libiche frutto di investimento di fondi sovrani. Si legge, infatti, sulla Gazzetta Ue dell’10 marzo 2011, che le cinque entità finanziarie libiche (la Banca centrale, il Fondo Lia, il Lybian Arab Investment Portfolio, la Libyan Foreign Bank e il Libyan Housing and Investment Board) sono a pieno titolo entità sotto il controllo di Muhammar Gheddafi e la sua famiglia, e rappresentano dunque una fonte potenziale di finanziamento per il suo regime. È il caso dunque dei titoli presenti in Unicredit.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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