Testamento biologico: tra etica e diritto

Pubblicato il 5 Aprile 2011 alle 09:35 Autore: Francesca Petrini
fine vita

Con riguardo al rapporto tra etica e diritto, si consideri che il tema bioetico implica spesso contrapposizioni tra orientamenti etici: si tratta dei sempre uguali laici e confessionalisti, immobili come soldatini di terracotta in un’eterna battaglia degli uni contro gli altri. In particolare, la dimensione religiosa costituisce un parametro meta-giuridico chiave negli sviluppi giuridici, e più prettamente legislativi, relativi alle DAT. L’inadeguatezza della dicotomia impone di seguire un approccio laico al diritto, tale da comprendere le diversità, anche etiche e religiose, coerentemente al bisogno delle società democratiche e liberali più di et…et che di aut…aut. Stante l’impasse del diritto rispetto all’etica, a dispetto della teoria della sacralità della vita, l’importanza del bene dovrebbe essere direttamente (e non inversamente) proporzionale alla sua disponibilità da parte del titolare: ciò corrisponde ad una concezione democratica e liberale dello Stato di diritto e, al contrario, l’indisponibilità pare configurarsi quale espressione di una concezione etica ed autoritaria dello Stato cui la persona e la sua vita apparterrebbero. Così, intenti a rovesciare l’ordine dello Stato etico-fascista e ad assicurare la centralità della persona umana cui lo Stato deve essere strumentale, i Costituenti informarono tutto il testo della Carta fondamentale al principio personalista, meta e super costituzionale. Perciò, nel disciplinare le DAT nell’ordinamento italiano, rilevano gli artt. 13 e 32.2 Cost. ed i correlativi riscontri nella normativa di rango ordinario, in pronunce della Corte Costituzionale e di Cassazione, nonché a livello di giurisprudenza di merito.

 

In conclusione, per quanto concerne il nostro paese, sebbene i giudici italiani abbiano adottato decisioni rilevanti in tema di fine vita sin dal 1951, anche chiusa la vicenda Englaro, resta aperto il dibattito circa la necessità/opportunità di una legge sulle DAT. Senza più mobilitare il Parlamento ad horas da un lato, né pretendere di dar luogo ad un diritto pervasivo dall’altro, sulla scia del dettato costituzionale, si dovrebbe piuttosto giungere ad un equilibrato bilanciamento tra diritti fondamentali che non neghi il contenuto essenziale di questi, ma anzi lo riconosca definendo quella linea di confine che li distingue e relaziona l’uno all’altro. Così, ritorna alla mente l’immagine attuale della Costituzione “presbite” elaborata dal Calamandrei e volutamente onnicomprensiva di potenziali “nuovi diritti” dei tempi a venire, e pare potersi affermare che il legislatore, senza dover volgere eccessivamente lo sguardo su scenari di un futuro remoto, alla stregua di un “miope”, ben potrebbe leggere ed interpretare le vicine e presenti richieste di diritti civili in merito all’autodeterminazione terapeutica.

 

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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