Essere indifferenti a volte è una colpa, a volte una difesa

Pubblicato il 20 Agosto 2020 alle 18:16 Autore: Nicolò Zuliani

Siamo così assuefatti alle nostre barriere difensive da non vederle più, e stupirci quando le vediamo negli altri. Salvo poi condannarli.

Essere indifferenti a volte è una colpa, a volte una difesa

Dovremmo aiutare gli altri, ascoltarli, capirli. Accorgerci dei campanelli d’allarme. “Alzare la testa dal telefonino”, come amano scrivere gli intellettuali. Se una donna in autostrada scavalca il guard rail con un bambino, dovremmo uscire dalla macchina per “aiutarla”. Non è chiaro a fare cosa o in che modo; di sicuro dovremmo abbandonare il veicolo in piena autostrada, cioè compiere un reato, per inseguire una donna sconosciuta.

Il filmato decontestualizzato e postato con questo titolo, “Pazzesco! Un uomo insegue una donna con bambino” scatenerebbe un massacro mediatico, peggiorato solo dalla difesa dell’inseguitore che direbbe “ma io volevo aiutarla”. Se poi la donna scompare e viene trovata morta col bambino, tantissimi auguri a chi voleva fare qualcosa. Serviranno decine di migliaia di euro tra avvocati, giorni in tribunali e questure, sequestri di cellulari, indagini.

Tutto questo, la folla di Internet non lo vede né prevede, né gli interessa.
Gli interessa dire che gli altri fanno schifo e sono indifferenti.

Ma il tuonare contro la popolazione indifferente c’è sempre stato.

Quello che invece non viene mai analizzato è come oggi una persona intelligente ragioni in base a quello che potrebbe sembrare, non a quello che è. Il linciaggio mediatico che mi sono sorbito anni fa oggi è diventato la norma. Il giudice di qualsiasi cosa è la folla, che ha un solo tipo di pena: la morte sociale – e questo solo perché non ha modo di dare la morte fisica.

In questi anni abbiamo imparato che gli altri sono il male. Sono gli occhi che scrutano e giudicano ovunque, chiunque, comunque. Che hanno gli stessi poteri di un giudice e di un carnefice. Che non sentono ragioni né difese, credono solo al Dio immagine.

Abbiamo più paura di Facebook che della polizia.

Siamo una società sull’orlo del crollo nervoso che arranca un giorno dopo l’altro trangugiando psicofarmaci, narcotici o droghe psicotrope, assediato da spettri di paranoie, imbecilli, malviventi, truffe, bugie, manipolazioni. Ci telefonano false aziende spacciandosi per la TIM. Ci abbracciano falsi parenti per fotterci il portafogli. Ci fermano falsi ex tossicodipendenti. Ci suonano falsi elettricisti. Ci vengono a prendere finti poliziotti. Ci mandano finte email di phishing, ci chiedono amicizie per ricattarci.

Viviamo in un mondo in cui gli uomini non si fidano più delle donne e le donne credono tutti gli uomini siano potenziali stupratori. Un mondo in cui aprire la porta a una donna può essere la cosa più pericolosa per la tua carriera. Un mondo in cui se qualcosa viene messo in Internet ha solo due alternative: il linciaggio dell’accusato o dell’accusatore.

Io non so cos’avrei fatto se avessi visto quella donna.

Di sicuro non prendo alla leggera il fatto che oggi fidarsi degli altri, indipendentemente da sesso, età, colore, non è il mio primo istinto. Perché ogni giorno mi viene insegnato così sia nella teoria, che nella pratica.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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