Eusebeia, storicamente, non la cala a tutti. Quando lo fa è un miracolo

Pubblicato il 25 Agosto 2020 alle 18:04 Autore: Nicolò Zuliani

Non si può essere buonisti nei giorni feriali, stimati companeros. Ma possiamo almeno sforzarci di non passare per gente da poco.

Seguici su Telegram!
Eusebeia, storicamente, non la cala a tutti. Quando lo fa è un miracolo

Dopo dichiarazioni al limite del negazionismo e boutade da bar sport, Flavio Briatore è stato contagiato dal Covid19. Si sta facendo curare da un medico che a sua volta diceva il Covid19 si fosse estinto. Karma, direbbe qualcuno. Contrappasso dantesco, direbbero altri. Nota dolente, oltre a lui sono risultate positive 52 persone che lavoravano nella sua discoteca, dopo che la costa Smeralda si era già rivelata un focolaio. Ragazzi e ragazze romani erano tornati e l’avevano sparso urbi et orbi.

Che si voglia prendere la Bibbia come testo sacro o come romanzo, è un libro pieno di storie che puntano a elevare l’uomo dalla bestia. Una delle tante morali che mi ha sempre affascinato è anche una delle più antiche della nostra specie, ed è la pietà. Per i cristiani (o cattolici? Boh) è un sentimento. Per gli spartani e i greci in generale, era una dea, Eusebeia. Lei mi ha sempre affascinato. Una dea schiva, distratta, mezza sorda e cieca, che è in grado di fermare la mano di qualsiasi creatura, mortale o immortale che sia.

Nella Bibbia ci sono tanti esempi di pietà: la prima che mi viene in mente è “non giudicare, o anche tu sarai giudicato”. Ed è molto più sottile di quanto sembri. Noi ci giudichiamo bene, e quando sbagliamo ci perdoniamo sempre. A parlare con poliziotti, giudici o carabinieri, non esiste criminale o assassino che non abbia una narrativa autoassolutoria. Ma nella Bibbia, la più bella, grandiosa e sublime dimostrazione della pietà avviene durante la crocifissione.

Che sia accaduto sul serio o sia frutto della mente di uno scrittore, è puro genio.

Dopo orrende torture, Gesù viene inchiodato e issato sulla croce tra la derisione dei presenti. Lui li guarda e invece di insultarli o maledirli, prova pietà di loro. Alza la testa verso suo padre – uno che tecnicamente potrebbe liberarlo, guarirlo e incenerirli – e invece di chiedere aiuto per sé, chiede di perdonare loro: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Questa roba è l’essenza più alta – troppo, per un essere umano – della pietà. Perdonare i propri carnefici.

L’uomo, nei secoli, ha tentato di elevarsi dalla bestia con le leggi e il diritto. Una civiltà si misura anche da come giudica e condanna chi sbaglia. L’Italia, per esempio, non crede nel carcere come punizione, ma come rieducazione. Significa che il nostro popolo crede l’essere umano sia di natura buona, e che il motivo delle sue azioni siano stati costruiti sopra, ma possano essere rimossi o corretti.

Noi crediamo nell’innocenza fino a prova contraria, nel diritto alla difesa, nel giusto processo e in nessun caso – senza eccezioni, mai – pratichiamo la pena capitale.

È facile, conveniente e ci fa fare bella figura dichiarare empatia e di provare pietà verso gli innocenti.

È più difficile – e spesso ci mette in cattiva luce – provare pietà verso i legionari che ci crocifiggono; verso chi ha sbagliato, insomma, e più l’errore altrui ci è vicino, più diventiamo inflessibili. Per non parlare della folla, per la quale le uniche tre punizioni possibili sono il carcere a vita, la morte e la morte dopo tortura. La Storia ha dimostrato che quest’atteggiamento non ha mai portato a buone cose, anzi, rendeva in poco tempo le comunità un inferno.

Se c’è una cosa che si vede, in quel porcile di frustrati che sono i social, è un continuo giudizio e condanna verso chiunque tranne se stessi. Fateci caso; se gli intellettuali sono quasi sempre dalla parte di chi le da e mai di chi le busca (Montanelli) la folla è sempre pronta a giudicare e a vantarsi di non provare empatia verso qualcuno. Lo dichiarano con quella punta d’orgoglio, come se questo li facesse sembrare impavidi, spregiudicati, gente che non le manda a dire.

Non che servano errori enormi o difficilmente perdonabili (pedofili, scafisti, assassini, stupratori) ma basta che Briatore sia ricoverato in terapia intensiva che all’improvviso è tutto un alzarsi di menti e gonfiar di petti. Loro non provano pietà perché (inserire condanna a caso pronunciata dal tribunale dell’amatriciana).

Sì, Briatore è tutto fuorché simpatico ed è un evasore fiscale, è stato un babbeo sia nella gestione della discoteca che nei comportamenti. Ci andrebbero infilati anche i giornalisti che han dato enorme risonanza a qualunque rutto pronunciasse sul Covid19 (perché? A che titolo?), ma alla fine c’è un uomo, padre di famiglia, malato, che rischia di morire.

Forse, ma giusto per amor proprio e/o buongusto, potremmo evitare di vantarci di non provare pietà per lui o per chiunque altro. Potremmo evitare di fare battutoni sul karma come ai tempi di Boris Johnson. Potremmo provare a essere migliori, anche se molto meno ritwittabili e condivisibili, perché a furia di provare a volte ci si riesce. Questo non significa lasciare impuniti crimini o torti, e non significa che chi sbaglia non debba pagare.

Eusebeia, quell’adorabile vecchietta che cammina sui patiboli e negli ospedali, non bacia quasi nessuno. Ma a volte succede in Arabia a un passo dall’esecuzione. A volte succede nei tribunali, a volte da parte di padri, a volte da parte di fratelli. E nessuno se ne indigna. Per un attimo si ha la sensazione di aver assistito a qualcosa di enorme.

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
Tutti gli articoli di Nicolò Zuliani →