Processo (e prescrizione) breve

Pubblicato il 12 Aprile 2011 alle 00:54 Autore: Francesca Petrini
processo breve

Di questa legge così come impostata, diversi sono i profili che suscitano delle perplessità: l’Anm parla di 15 mila processi l’anno che cadono in prescrizione e che la riforma rischia di far raddoppiare, mentre da molte parti della società civile si denuncia la depenalizzazione dei c.d. reati dei colletti bianchi, ovvero quei reati come truffe, corruzioni, reati societari e tributari, in genere puniti con pene inferiori ai 10 anni. Se la disciplina che si vuole introdurre è quindi limitata ai soli procedimenti per reati puniti con la reclusione inferiore nel massimo a 10 anni e ciò porterebbe ad applicare il meccanismo di estinzione a delitti anche gravi, mentre resterebbero escluse le contravvenzioni pure di modesta entità, più grave appare la considerazione secondo cui, se il fine della legge – come si evince dalla relazione – è quello di garantire la ragionevole durata del processo (che rappresenta, ai sensi degli articoli 6 CEDU, 47 Carta di Nizza, nonché 111 Costituzione, un diritto fondamentale della persona), l’effetto paradossale di questa legge sarà che i delitti più gravi, non essendo soggetti a termini di prescrizione processuale, “passeranno in coda” e dunque dureranno ancora di più. In realtà, oltre al pericolo cha ad essere pregiudicata sia la stessa legalità a fronte di termini di prescrizione irragionevolmente brevi per reati a dir poco dannosi per la collettività (si pensi a Cirio, Parmalat, Antonveneta, Thyssen, Enelpower, Eternit, allo scandalo rifiuti in Campania, agli scandali di malasanità come quello della clinica Santa Rita di Milano, alla strage ferroviaria di Viareggio), c’è qualcosa di più grave quanto inespresso in questo disegno di legge, che rischia di minare uno dei principi fondanti e fondativi della nostra Carta costituzionale e della nostra Repubblica: l’articolo 3 sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

processo breve

La possibile violazione del principio di pari trattamento rispetto alla giurisdizione – ribadito da ultimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 262 del 2009 – discenderebbe dall’aver ancorato la procedibilità all’essere l’indagato recidivo, ancorché sia intervenuta la riabilitazione. La recidiva, persino nella versione originaria dell’articolo 99 del codice Rocco, ha sempre rappresentato nulla più che una circostanza aggravante di applicazione discrezionale, riferibile unicamente ai delitti non colposi: la disparità di trattamento riservata ad imputati di identiche fattispecie di reato, ben diversa dalla concessione di attenuanti che il giudice può concedere discrezionalmente sia a incensurati che a recidivi, permette quindi di configurare senza troppe difficoltà una violazione del principio costituzionale appena richiamato. Uno stesso tipo di violazione si potrebbe fare anche configurare con riferimento alla disposizione secondo cui la prescrizione “corta” sarebbe applicabile solo ai processi pendenti in primo grado e non anche in appello o in Cassazione: o si escludono i processi pendenti oppure, se si segue il principio del tempus regit actum, la nuova disciplina si applica a tutti i processi pendenti, in qualsiasi grado (il paradosso è che si estinguerebbe prima il processo che è durato di meno – I grado – rispetto a quello che è durato di più – II grado o Cassazione). Ancora, la riduzione dei tempi di prescrizione si traduce in una sostanziale diversità dei cittadini dinanzi alla legge se si considera che, dopo l’abbreviamento dei tempi di prescrizione disposta già dalla legge Cirielli, questa legge costituisce di fatto una garanzia di impunità per quanti tra gli imputati possono permettersi costosi collegi di difesa capaci di sfruttare tutte le possibilità dilatorie offerte dal nostro codice di procedura penale. E non appare allora un caso se, mentre alla Camera si discute sul processo e la prescrizione breve, in Commissione Giustizia al Senato passa l’emendamento Mugnai al disegno di legge sul c.d. “giudizio abbreviato”, ribattezzato dall’opposizione “allunga–processi”, che consente alla difesa di presentare lunghe liste di testimoni e non considerare più come prova definitiva di un processo la sentenza passato in giudicato di un altro procedimento; sono abbastanza evidenti le dirette conseguenze che una tale disposizione avrebbe sul processo Mills, ancora in corso a carico di Berlusconi.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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