Italia, razzismo e xenofobia
Il principale strumento di perseguimento penale è invece la Legge 205/1993, che consente al giudice di considerare un’aggravante la finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Per la legge italiana, l’applicazione di un’aggravante permette di aumentare la pena fino al 50% di quanto previsto dalla legge per il reato contestato. Inoltre, tale legge inserisce questo tipo di reati tra quelli che devono essere perseguiti d’ufficio, senza l’obbligo di una denuncia.
Dal 2005 è inoltre attivo in Italia l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, uno sportello contro gli episodi di discriminazione, tra i cui compiti esiste espressamente il monitoraggio degli eventi discriminatori.
Con una simile base legislativa, dotata anche di strumenti concreti di azione, come è possibile che il nostro Paese sia definito razzista?
Human Rights Watch ha dato grande importanza al peso dato al tema della sicurezza durante la campagna elettorale del 2008, e alla progressiva identificazione tra gli eventi criminali e l’arrivo degli stranieri sul suolo italiano – sebbene studi indipendenti compiuti dalla Banca d’Italia non abbiano dato riscontri reali a questa visione.
Non è poi da dimenticare l’utilizzo dei media in tal senso: in uno Stato dove la commissione tra potere politico e mezzi di informazione è quantomai stretta – non bisogna dimenticare come secondo Reporters sans frontières l’Italia non possa essere considerato un paese veramente libero dal punto di vista della libertà di stampa – spicca come, citando il report di HRW, durante la prima metà del 2008 è emerso che solo 26 delle notizie televisive 5.684 riguardanti immigrati non si riferiscono a questioni legate alla criminalità o alla sicurezza. La televisione è la principale fonte di notizie per l’80% della popolazione italiana. Un valore assolutamente sproporzionato e fuori linea con quello di qualsiasi altro Stato occidentale, che ha sollevato molti interrogativi presso i principali organismi internazionali.
Oltre ad un clima reso sfavorevole agli immigrati da esigenze elettorali, ed una legislazione orientata alla sommaria identificazione tra immigrati e criminali, sono stati svuotati di significato anche gli strumenti messi a disposizione dalla legge per l’osservanza dei diritti umani.
In primo luogo l’UNAR, per ben cinque anni, ha lavorato senza avere possibilità, nel proprio database, di specificare il razzismo tra le motivazioni delle discriminazioni. Questo significa, di fatto, che non esiste alcuna mappatura ufficiale dei casi di razzismo e xenofobia in Italia, lasciando buon gioco a chi tenta di stigmatizzare gli episodi più violenti a semplici episodi non indicativi di un clima nazionale. Solo nel settembre 2010 sono state finalmente apportate le necessarie modifiche.
La stessa Legge 205/1993, inoltre, è stata interpretata in maniera molto restrittiva. Complice una scrittura non chiarissima della legge, di fatto le aggravanti per razzismo vengono applicate solo quando il razzismo diventa la finalità ultima del reato, rimanendo quindi lettera morta nella stragrande maggioranza dei casi.
Secondo l’ONG americana, quindi, i passaggi in cui si costruisce la visione politica del governo nei confronti del problema del razzismo possono essere schematizzati nella seguente lista: