Quello che “The social dilemma” non dice è peggio

Pubblicato il 21 Settembre 2020 alle 16:35 Autore: Nicolò Zuliani

Questo garrulo articolo è per i forti di cuore e soprattutto per quelli che credono di essere al sicuro. Ridere, ridere, ridere!

È uscito il documentario Netflix “The social dilemma” e pressoché chiunque lavori nei/con i media ne sta parlando. Alcuni ne sono rimasti allibiti, altri preoccupati, altri hanno giurato e spergiurato di aver ridotto l’uso dei social dopo averlo visto. Per quelli di voi che non hanno idea di cosa si parli, è una raccolta di interviste (e interventi pubblici) di persone che lavoravano nella silicon valley nelle alte sfere, intervallato da una fiction che serve agli americani per non annoiarsi e capire le cose.

Noi esseri umani possiamo saltarla.

Per chi non l’avesse visto, il succo è: i social erano nati per uno scopo e sono diventati altro; la gente rovina tutto; i soldi, invece degli ideali, pilotano il mercato; le aziende sanno tutto di noi, anche i più intimi segreti, e li vendono a terze parti quando queste fanno richieste di certi profili. Davanti a queste rivelazioni – tutte vere – il pubblico si divide in tre gruppi:

A) quelli a cui non frega niente e continueranno a usarli
B) quelli che faranno petizioni online e continueranno a usarli
C) quelli che non li usano e si credono al sicuro o che questo non li riguardi.

Il dibattito si basa sui parallelismi col passato – anche quando c’era la TV dicevano così! Anche quando c’era la radio! Il walkman! L’Atari! I Tiger! Il Game Gear! – e ipotesi farneticanti in cui i colossi della Silicon valley smetteranno d’interessarsi ai soldi per abbracciare etica, idealismo e sogni.

Lo fanno già.

Larry page ha Senses, uno yacht di 60 metri con cui naviga felice mentre la sua azienda costruisce una versione censurata apposta per la Cina. Mark Zuckerberg ha Ulysses, ben 107 metri di meraviglia in cui si rilassa mentre la sua azienda vende dati personali illegali ad aziende che contribuiscono a diffondere disinformazione ed estremismo.

Ulysses, acquistato per 45 milioni di chili di idealismo

Solo gli idioti lavorano gratis o per contar cuoricini.

Il dramma di The social dilemma è fingere esista una soluzione praticabile, cioè l’informazione e l’engagement sulla questione. Non puoi spiegare questa roba ai cinquantenni del buongiornissimo, alle quarantenni con la bocca a papera e le vignette di Mafalda, ai naziputtihandicappati che scambiano aggregatori di notizie faziose per siti d’informazione, a quelli che regalano il proprio DNA a solo Dio sa chi per scoprire quanto sono italiani.

Eppure sono loro la massa critica.

Miliardi di persone contro poche decine che si prendono la briga di disabilitare la pubblicità mirata sull’iPhone o mettersi AdBlock e Ghostify.

A Natale tutti ci siamo trovati con uno o più automi rabbiosi che prima urlavano e rovinavano la cena per tuonare contro “i pidioti” e adesso impestano la bacheca di odio verso il M5S. È ridicolo anche solo pensare di spiegare che le loro idee politicamente scorrette e libere sono state ottenute alzando o abbassando le sponsorizzazioni.

Lo stesso vale per noi che crediamo alla Terra sferica; per la nostra bolla, la Rowling è famosa per le sue dichiarazioni omofobe e per essere una TERF. Per la massa, la Rowling è quella che ha scritto Harry Potter e i TERF sono le pistole che sparano gommini.

C’è un altro problema: a nessuno piace sentirsi stupido.

Avevo una ex che mi mandava cazzate reputate verosimili perché scritte in una jpg e condivise da altri ritardati mentali. Io le smentivo, lei pian piano ha smesso di chiedermi conferma, ma non di postarle. Le persone preferiscono sbagliare ed essere reputate intelligenti (o “pure”) piuttosto che fare la cosa giusta ed essere reputate stupide.

È la natura umana. Ognuno ha genitori che domandano “ma hai letto che roba? Ma è vero?” a cui segue un link a roboantistronzateedovetrovarle punto com; questa massa ha mandato al governo gente che credeva ai microchip sottopelle, alle sirene, al signoraggio e alla Biowashball. Ma c’è una cosa che The social dilemma non dice, o forse non deduce.

Ed è che a furia d’indebolire i governi, a furia di mandare al potere fantocci piacioni e incapaci che non ci mettessero in soggezione, credevamo di ottenere un maggiore potere decisionale. Il risultato, invece, è che dove manca l’autorità se ne formano decine di illegittime. La Silicon valley è di fatto la patria dei nuovi signori della guerra che spadroneggiano in un territorio in cui abitiamo anche noi, i nostri genitori e i nostri figli, e in cui non esistono difensori capaci di proteggerci.

La cosa surreale è che non sono nemmeno interessati a farlo

I politici sono uomini e donne il cui compito (e interesse) consiste nel compiacere il proprio elettorato, ma oggi tra l’elettorato e il governo ci sono signori della guerra autoproclamatisi portavoce sia in una direzione che nell’altra. Un parlamentare può anche andare a casa degli elettori, invece di basarsi su quello che dicono sondaggi e social media manager, ma in quella casa troverà un elettore che ha una percezione della realtà distorta, e quindi gli chiederà di lavorare nella direzione sbagliata.

In tutto questo casino la realtà perde autorità in presenza delle altre verità, si complica, e i soli in grado di dare risposte chiare sono quelli che decidono la realtà in base al numero di notizie che ti scorrono nella timeline. Oggi siamo in guerra con l’Eurasia e da che ricordi, siamo sempre stati in guerra con l’Eurasia, perché la mia bacheca non va abbastanza indietro e le notizie che mi si sono impresse nelle iridi sono scomparse.

Articoli linkano articoli che dopo sei mesi non esistono più e forse non sono mai esistiti nemmeno i primi. Non lo ricordo, forse, mi sembra, credo, mi pare fossimo in guerra con l’Australia, ma non voglio sembrare stupido.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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