Una tragedia e una lezione di pedagogia made in Italy

Pubblicato il 28 Settembre 2020 alle 17:15 Autore: Nicolò Zuliani

C’è chi si tuffa e chi resta a terra. Di rado si ottengono lezioni dai secondi.

Sabato scorso, a Milazzo, due ragazzini di 13 e 15 anni giocavano sulla battigia col mare grosso. Chiunque sia cresciuto in una località marittima sa che le onde sono uno spasso, a riva, e nessuno bada mai a quella strana bandiera rossa che sventola sui litorali quando c’è brutto tempo. I ragazzini sbagliano a calcolare intensità e dimensione delle onde, vengono travolti e portati al largo. Uno riesce ad aggrapparsi a una boa, l’altro no.

A questo punto la dinamica ha punti da chiarire. Secondo alcune fonti, uno dei ragazzini riesce a tornare a riva e allertare la capitaneria di porto; le navi della Guardia Costiera non possono uscire perché il mare, per una motovedetta, è inaffrontabile. Viene dato ordine a due sottufficiali di intervenire via terra. Tradotto con i mezzi a disposizione della Guardia costiera: si mettono in mutande, prendono un salvagente e si tuffano. Devi avere un fegato enorme? Sì.

Il sottufficiale Aurelio Visalli viene colpito da un’onda che lo schiaccia sul fondo e affoga.

Aurelio Visalli, sottufficiale della Guardia costiera di Milazzo, 27 Settembre 2020. ANSA/PER GENTILE CONCESSIONE DELLA FAMIGLIA

Secondo quanto riferisce invece il ragazzino, è stato lui stesso a prendere un’onda lunga e tornare a riva da solo, dove è stato ricoverato con punture di meduse e ipotermia avanzata. La dinamica esatta non è chiara. Quel che è certo sono due minori sopravvissuti e un sottufficiale di 40 anni, marito e padre di due figli, che ha fatto una delle morti peggiori nel tentativo di salvarli.

Su Instagram, i sopravvissuti prima scrivono status da smargiassi, poi li rimuovono e si dichiarano dispiaciuti, ma sono già stati screenshottati e diffusi assieme a chat private dai capipopolo, che li ripubblicano sulle proprie pagine incitando la gente a commentarli.

Ora: una persona in ipotermia non è in grado di intendere e di volere; arriva a non sapere rispondere a domande elementari. È possibile un tredicenne e un quindicenne in stato di shock non abbiano idea di cosa gli sia successo? È possibile una persona attraversi varie fasi psicologiche dopo un trauma? È possibile a tredici e quindici anni sbagliare a giocare con le onde e, soprattutto, sbagliare a esprimersi sui social?

Secondo il popolo, no.

Ecco quindi una raccolta di lezioni che le madri e i padri italiani impartiscono ai due minorenni. Potrebbe continuare per migliaia di post, ma sarebbero ridondanti.

Sono quindi andato a spulciare i profili degli autori, scoprendo che si va da infermieri a commercialisti, da estetisti a liberi professionisti, ognuno con la foto dei propri pargoletti. Persone comuni, per bene, che amano “viaggiare, il buon vino e la buona cucina”, che scrivono “vivi e lascia vivere”, “ogni lasciata è persa”. Persone che “odiano la banalità e chi giudica”. Ho provato a immaginarli mentre spaccano i denti e spezzano i braccini dei loro bambini per curare la società malata e insegnar loro a stare al mondo.

Poi mi sono chiesto se mi tufferei in un mare forza 8 per salvarli.

È questo rende il sacrificio del sottufficiale ancora più eroico e tragico. Ognuno di noi si sacrificherebbe per salvare chi ama, o per salvare uno sconosciuto sapendo che è una brava persona e/o troverà la cura del cancro. È epico, e potrebbe essere una di quelle occasioni – tanto amate nell’antica Roma – in cui una morte gloriosa riscatta una vita mediocre. Un’altra cosa è rischiare per salvare una vita perché è una vita e basta, senza sapere niente di lei, anche a rischio di salvare uno di questi genitori.

Io, il fegato e il cuore del sottufficiale non so se ce l’ho. Spero di non doverlo scoprire mai. Ma per quel che vale, a me Aurelio Visalli ha dato un’enorme lezione.

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
Tutti gli articoli di Nicolò Zuliani →