Prodotto difettoso e mancata riparazione: ecco come far valere la garanzia

Pubblicato il 19 Ottobre 2020 alle 13:18 Autore: Claudio Garau
Prodotto difettoso e mancata riparazione: ecco come far valere la garanzia

Prodotto difettoso e mancata riparazione: ecco come far valere la garanzia

Come ben sappiamo, il cliente è tutelato da una serie di regole che disciplinano la fase post-acquisto. In particolare, le norme prevedono che l’acquirente di un prodotto difettoso ovvero con difetti di costruzione e fabbricazione, può domandarne la riparazione, ma anche il cambio con altro prodotto avente le stesse caratteristiche. Si tratta di diritti che possono essere fatti valere dal consumatore, entro 2 anni dalla compravendita, laddove il cliente denunci il vizio o il difetto del prodotto nei 60 giorni successivi alla scoperta. Se invece, chi acquista, lo fa con partita Iva, le tempistiche scendono notevolmente, giacchè la garanzia diventa di un solo anno e il termine entro cui fare la segnalazione, non corrisponde più a 60 giorni, ma ad 8.

Il punto che vogliamo cercare di chiarire di seguito, è però il seguente: che fare in ipotesi di mancata riparazione di un prodotto difettoso? ovvero, come comportarsi laddove il bene acquistato sia stato riparato, ma senza risolvere del tutto le problematiche emerse? Vediamo di seguito che risposta ha dato la Corte di Cassazione, in una sua recente pronuncia.

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Dalla parte dell’acquirente resta pur sempre l‘apparato normativo del Codice del Consumo, dal quale si può trarre l’indicazione per la quale non soltanto il compratore deve rispettare specifiche tempistiche per la segnalazione dei vizi, ma anche chi effettua le riparazioni o le sostituzioni, le deve svolgere in un periodo di tempo ragionevole. Non solo: colui che vende non può domandare il versamento di ulteriore denaro per consegnare – a seguito della sostituzione o riparazione – un prodotto senza difetti a colui che ha lamentato il vizio.

Le alternative o soluzioni sono due: sostituzione o riparazione, e su quest’ultima vogliamo focalizzarci. Insomma, che succede se, dopo ripetuti interventi sul prodotto difettoso, questo continua a non funzionare al meglio? Ebbene, per capire quali sono le conseguenze di una mancata riparazione integrale, occorre fare riferimento al Codice del Consumo, il quale stabilisce che il cliente può tutelarsi o optando per la riduzione del prezzo originario, che sia proporzionata all’abbassamento di valore del bene difettoso, oppure per la risoluzione del contratto di compravendita. Nella prima ipotesi, il compratore conserva la proprietà, ma risparmia sulla spesa totale (scatta il parziale rimborso); nella seconda ipotesi, invece, il compratore riceve indietro tutti i soldi spesi, a patto di riconsegnare il prodotto difettoso. E’ chiaro che scegliere l’una o l’altra soluzione sarà frutto di una valutazione soggettiva dell’acquirente stesso, che dovrà capire che cosa è per lui più conveniente.

In ambo i casi, l’acquirente è comunque tutelato e non deve versare alcunchè per esercitare il suo legittimo diritto. Infatti, con la risoluzione contrattuale scatta il diritto alla restituzione del prezzo, senza che il venditore, o l’azienda produttrice, possano detrarre da quanto spettante al privato, del denaro somma a titolo di indennità d’uso o anche di penale.

Ad inizio articolo abbiamo citato una pronuncia della Cassazione sul tema, la quale ha – conformemente alla linea appena esposta – riconosciuto la sussistenza del detto diritto in capo ad un cliente che ben poteva dunque chiedere, anzi esigere, la restituzione del denaro versato per comprare un veicolo difettoso. Infatti, ben 24 mesi di continui interventi in officina, non sono stati sufficienti a risolvere i problemi. Ciò che ha utilmente chiarito la Cassazione è che spetta la risoluzione del contratto di compravendita nel caso in cui il cliente in un primo tempo abbia scelto l’opzione della riparazione del prodotto difettoso, poi però rivelatasi infruttuosa.

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Le seguenti parole della Suprema Corte chiariscono ogni possibile dubbio: “In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove l’acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non è preclusa la possibilità di agire per la risoluzione del contratto, ove sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia tempestivamente provveduto, ovvero se la stessa abbia arrecato un notevole inconveniente“. Ciò significa che “Nel caso di non conformità del bene al contratto il consumatore è tenuto a chiedere in un primo momento la sostituzione oppure la riparazione del bene, e solo qualora ciò non sia possibile, ovvero sia manifestamente oneroso (ossia troppo costoso), è legittimato ad avvalersi dei cosiddetti rimedi secondari“. I rimedi secondari sono rappresentati dalla risoluzione del contratto con riconsegna del prodotto difettoso o – come detto sopra – dalla diminuzione del prezzo versato al venditore. Concludendo, la giurisprudenza ha chiarito dunque che, sul punto, il cliente ha sempre ragione, ma deve muoversi rispettando la priorità dei rimedi primari su quelli secondari.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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