Un napoletano truffa gli USA, seduce hostess, dirotta un Boeing e vince

Pubblicato il 30 Ottobre 2020 alle 13:07 Autore: Nicolò Zuliani

Ecco un eroe che l’Italia non merita. Perché non gli è stato dedicato un aeroporto è uno dei grandi misteri italiani, ma almeno abbiamo un film.

Il contachilometri della macchina è a fondo scala, i finestrini rotti fanno entrare l’aria con un rombo caldo, nello specchietto retrovisore c’è un muro di volanti della polizia e dei carabinieri. Il vicequestore tiene le mani sul volante e guarda inorridito sul sedile del passeggero, dove un bel ragazzo stringe il fucile: «Cattiverij n’è avut tropp, mo me truov ci cor cchius» dice il ragazzo.
«A facc ro cazz, Raffae’» geme il vicequestore.
Weeeeeeo, weeeeeeeo, weeeeeeeo, fanno le sirene dietro di loro.

Raffaele Minichiello nasce nel 1949 a Melito Irpino, un insignificante paesino distante venti chilometri da Benevento, in una casa che non ha nemmeno l’elettricità. Cresciuto in una casa di campagna e una comunità che tentava di rialzarsi dalla guerra, appena adolescente va a lavorare nell’officina del padre, a Grottaminarda. Flirta con Rosalia, una ragazzina sua coetanea. Nel 1962 il terremoto devasta i paesi e distrugge l’officina. I genitori, stremati da una terra impietosa e da una vita miserabile, prendono quel poco che gli resta e s’imbarcano su un piroscafo diretto in America.

Arrivati a Seattle le loro condizioni non migliorano molto

Raffaele è un ragazzino analfabeta che parla solo dialetto e non riesce a integrarsi. Quando si iscrive alla Foster High School, passa solo l’esame di disegno meccanico grazie alla sua adolescenza tra viti e bulloni. In giro ci sono i reclutatori a caccia di carne fresca da mandare in Vietnam, e lui si arruola nella Quinta divisione dei Marines con grande gioia dei suoi genitori, che non lo devono più mantenere. Durante l’addestramento a Pendleton viene notato per la capacità e la velocità di smontare e rimontare qualsiasi arma. Lo mandano al fronte appena compiuti 18 anni, il 15 dicembre 1967.

Ci passa tredici mesi, guadagnandosi svariate decorazioni tra cui quella più ambita: sopravvivere.

(AP Photo/Horst Faas)

Tornato negli Stati Uniti, scopre il rancore della popolazione nei confronti dei veterani.

In città viene trattato come un appestato, le donne lo evitano e gli studenti hippie che sono riusciti a saltare la leva lo deridono e insultano. Sopporta finché può, poi chiede allo Stato che gli vengano pagati gli arretrati, 200 dollari, e di essere trasferito in Italia. Negli uffici si piglia insulti razzisti e viene trattato alla stregua di un accattone anche dai colleghi. Tra i ricordi di guerra e l’atteggiamento della popolazione, Raffaele comincia a bere fino all’alcolismo.

Una notte sfonda la porta dello spaccio della caserma, intenzionato a prendere il corrispettivo di ciò che gli spetta in cibo e alcool, ma si addormenta. La mattina dopo lo sbattono in galera per 10 giorni, poi lo reintegrano in attesa di essere processato dalla corte marziale il 29 ottobre 1969. Raffaele ci pensa bene, poi all’alba del 28 decide che non vuole essere processato: vuole tornare a casa.

Deve solo percorrere metà globo terrestre

Alle 6.00 di mattina, nel campo militare, allunga un paio di bigliettoni a un collega perché lo sostituisca, poi compra un fucile mitragliatore e va all’aeroporto di Los Angeles. Compra un biglietto per San Francisco. Per un paio d’ore tiene d’occhio il viavai all’ingresso, poi intercetta una hostess che gli scocca un’occhiata interessante. Scatta in piedi e comincia a flirtarci.

È così bravo che lei lo fa entrare da un ingresso secondario evitando i controlli. A furia di baci, carezze e petting, Raffaele guadagna la pista di decollo. A quel punto si stacca dalla hostess ed entra in un Boeing 707 della TWA. Quando mancano 15 minuti al decollo tira fuori il fucile, fa scendere anziani, bambini e donne, poi prende in ostaggio il pilota e due hostess, Charlene Del Monico e Tracey Coleman.

Entrambe lo trovano estremamente affascinante.

Tracey Coleman

Tracey fa da mediatrice sia con la torre di controllo che con il comandante. Dice che poveretto, è tanto un bel ragazzo, vuole solo andare a New York. Il comandante decolla sia perché il fucile è un’opinione con all’interno venti argomenti solidi, sia perché se un uomo riesce a fare tutto questo solo emanando testosterone vuoi vedere come va a finire. Atterrano a Denver per un rifornimento, e Tracey convince Raffaele a liberare quel poco di ostaggi che rimangono: lei e Charlene si offrono di restare a bordo.

Raffaele afferma quale sarà la meta finale dopo New York: Roma. Nessuno protesta, tutti obbediscono in un’allegra atmosfera di gita fuoriporta. Fanno scalo per rifornirsi nello sperduto aeroporto di Bangor, nel Maine, poi all’aeroporto di Shannon, in Irlanda. Nel tragitto sono tutti così tranquilli che Raffaele molla il fucile per andare in bagno, e quando torna lo trova lì dove l’aveva lasciato.

Elabora il piano di fuga definitivo

Mister Lovalova in salsa mediterranea spiega che una volta atterrati a Fiumicino lui farà salire un funzionario di polizia importante; usandolo come scudo umano scenderà dalla scaletta per poi salire assieme a lui su una macchina. L’incredibile è che succede esattamente quanto detto. Il vice questore Pietro Gulì, con le mani alzate e senza giacca, sale la scaletta e obbedisce agli ordini.

Raffaele saluta affettuosamente le ragazze e il comandante, poi tenendo la canna del fucile piantata nella nuca del vicequestore sale a bordo di una Giulietta parcheggiata in pista. Partono. Quando Pietro gli domanda la destinazione, negli occhi di Raffaele passa un lampo: «Napule» dice. Mentre percorrono l’Ardeatina, arrivati in piena campagna, Raffaele ordina al vicequestore di fermarsi, poi scende e scompare nella campagna di corsa.

Polizia e Carabinieri lo braccano senza sosta, ma non c’è verso

Le sue foto e la sua storia finiscono sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, e un prete nella chiesetta del Divino amore lo riconosce, segnalandolo. Lo arrestano senza che lui opponga resistenza, e una volta circondato da giornalisti e telecamere sentenzia un italianissimo “n’agg fatt nient”. Invece viene processato per traffico di armi internazionale.

Rinviato a giudizio il 6 aprile 1970, viene condannato a sette anni di reclusione; nonostante gli innumerevoli sforzi degli USA per riaverlo, l’estradizione non viene mai concessa. Esce per buona condotta dopo aver scontato solo un anno e mezzo. Scarcerato, trova la Fede e oggi è un cittadino libero, non senza che Sylvester Stallone, impressionato dall’impresa, decida di scrivere un film basandosi sul suo personaggio. Rambo.

L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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