Assegno di mantenimento e modifica: quando scatta e come si può fare

Pubblicato il 9 Novembre 2020 alle 12:16 Autore: Claudio Garau
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Assegno di mantenimento e modifica: quando scatta e come si può fare

Quando un matrimonio va a rotoli e il legame affettivo che univa la coppia sposata, svanisce, emergono delicate questioni economiche, che vengono in qualche modo regolate dall’assegno di mantenimento. Forse non tutti sanno che il provvedimento che lo dispone – o meglio, le condizioni in esso indicate – possono essere soggette a modifica. In certi casi, insomma, è anche possibile domandare ed ottenere la revisione della citata misura di sostegno economico, che può essere infatti diminuita, ma anche aumentata, in base a esigenze manifestate e documentate. Vediamo più nel dettaglio.

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Assegno di mantenimento: di che cosa si tratta

L’assegno di mantenimento rappresenta una realtà concreta per molte persone: in effetti, i dati più recenti sui numeri di separazioni e divorzi in Italia ci dicono che in sempre più casi, marito e moglie decidono di prendere strade separate, onde evitare nuovi litigi e contrasti, ma anche per il bene degli eventuali figli.

L’assegno di mantenimento può definirsi come una misura di soccorso, dal punto di vista economico, verso il coniuge economicamente più debole, erogato da parte dell’altro coniuge, valutato come economicamente più solido.

Giuridicamente parlando, la fase della separazione tra i coniugi è da considerarsi una fase transitoria della crisi della coppia: in dette circostanze, viene meno il dovere di fedeltà, ma non quello di assistenza materiale ed economica tra i coniugi. Ecco giustificato allora il versamento di un assegno periodico mensile, detto appunto assegno di mantenimento, mirato ad assicurare, quanto meno, le esigenze primarie del marito o della moglie, e della prole, se c’è (ad es. spese per il cibo, pagamento affitto ecc.).

Tipico è il caso del marito che ha un lavoro fisso e ben retribuito e della moglie casalinga e disoccupata, alla quale, da parte del giudice, sono assegnati i figli: in queste circostanze, la donna riceverà un assegno di mantenimento, quantificato sulla scorta di diversi fattori, tra cui le necessità della prole, i redditi in gioco, ecc.

Ricordiamo altresì che il diritto a detto assegno, sussiste sia in caso di separazione di tipo consensuale, ovvero oggetto di compromesso tra i coniugi, sia in caso di separazione giudiziale, frutto di autonomo provvedimento del magistrato competente. Della differenza tra separazione consensuale e giudiziale, abbiamo già parlato diffusamente qui.

I limiti al versamento dell’assegno: quali sono?

In base a quanto detto sopra in via generale, non bisogna però pensare che il diritto all’assegno di mantenimento scatti in automatico, per il solo fatto della rottura del legame matrimoniale in sè. Infatti, detta misura di sostegno economico deve essere versata a patto che sussistano, tutte assieme, le seguenti tre condizioni:

  • al coniuge economicamente più debole non sia stata attribuita la responsabilità, o meglio la colpa per la rottura del legame: si tratta del ben noto “addebito della separazione”, di cui ci siamo già occupati ad es. con riferimento alla moglie che ci ripensa;
  • il coniuge economicamente più debole non deve percepire alcun tipo di reddito (ad es. da canone di affitto o da lavoro), o se lo percepisce, per poter contare sull’assegno di mantenimento, deve essere talmente basso da non poter garantire soddisfacimento ai bisogni primari proprie e della prole;
  • il coniuge economicamente più debole non deve essere impegnato in una nuova convivenza (non basta però il mero legame affettivo) con un terzo soggetto, altrimenti il diritto all’assegno di mantenimento si perde.

Come detto sopra, non sempre i coniugi riescono a trovare un compromesso, e quindi ad accordarsi per l’assegno e la sua quantificazione. In dette circostanze, sarà il magistrato a doversi esprimere e a stabilire la misura proporzionata del contributo economico in questione. Per farlo, dovrà tener conto di una pluralità di fattori, tra cui:

  • capacità di spesa;
  • stile di vita e tenore di vita della prole al tempo del legame;
  • esigenze attuali dei figli (ad es. spese per la scuola, trasporti, medicinali ecc.);
  • il rilievo economico dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore verso la prole;
  • proprietà immobiliari di marito e moglie, o di uno dei due;
  • redditi percepiti.

Riguardo a quest’ultimo punto, risulta decisiva la produzione – innanzi al giudice – della dichiarazione dei redditi degli ultimi 3 anni. Se si tratta di spese per i figli, ma aventi natura straordinaria, come ad esempio quelle relative ad una vacanza studio, il criterio da applicare prevede una sorta di compromesso a parte tra i genitori, che prescinde dall’assegno di mantenimento: generalmente per dette spese, è utilizzato il criterio del riparto metà per uno.

La modifica all’assegno: quando è possibile?

In tanti casi concreti, può ben succedere che il coniuge economicamente più solido, non riesca più a fronteggiare le spese dell’assegno di mantenimento. Ad esempio, può trovarsi improvvisamente senza un lavoro, oppure potrebbe sposarsi una seconda volta e avere altri figli. In ogni caso, potrebbero variare quei fattori e parametri economici che, in un primo tempo, avevano giustificato l’assegno di mantenimento in una certa misura.

Ebbene, la legge ammette pacificamente la possibilità di modifica e revisione dell’assegno in questione, in due fondamentali ipotesi:

  • peggioramento della situazione economica di uno dei coniugi, ad es. per un licenziamento o per il pagamento di debiti pregressi;
  • miglioramento della condizione reddituale del marito o della moglie: si pensi ad es. ad una vincita importante o ad un nuovo lavoro retribuito molto bene.

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Sulla scorta delle mutate condizioni economiche, l’interessato/a dovrà presentare una formale istanza al giudice, con la quale chiedere la modifica della somma versata a titolo di assegno di mantenimento. Ovviamente non basta la domanda in sè: come acclarato in passato dalla Corte di Cassazione, è anche necessario allegare tutti i documenti comprovanti il cambiamento di condizioni e i nuovi fatti soppravvenuti.

Concludendo, il magistrato chiamato a valutare potrà così o decidere per la revisione dell’assegno, disponendo una diminuzione o un aumento della somma dovuta, ma sempre sulla scorta della verifica delle nuove condizioni economiche; oppure potrà rigettare l’istanza, permanendo così quanto stabilito in precedenza in tema di mantenimento.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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