“Ero giornalista, ora nelle Squadre Fognarie Globali sono felice”

Pubblicato il 26 Gennaio 2021 alle 16:04 Autore: Nicolò Zuliani

Il mondo è cambiato, e la crisi economica innescata dalla pandemia ci ha fatto scoprire quant’è bello il lavoro sottopagato e il caporalato, se al governo c’è la gente giusta.

L’elicottero atterra nella base del Comando 1° regione aerea. Il giornalista, frastornato e mezzo assiderato, trema senza controllo. Gli uomini lo avvolgono in una coperta d’emergenza, lo incappucciano e lo ficcano a bordo di un C135, dove il giornalista percepisce altre figure. Sono decine, tutte intabarrate nella coperta termica.

Prova a fare domande, ma il rombo dei quattro motori turboelica Rolls-Royce è assordante. Si aggrappa alle bretelle mentre l’aereo decolla. Il viaggio è lungo e penoso. Quand’è ora di cena, due energumeni distribuiscono pizze: dritto e manrovescio in rapida successione, poi tornano a sedersi.

Nessuno fiata.

Il giornalista si addormenta e si risveglia quando gli servono altre due pizze. La temperatura è diversa, tra le maglie del cappuccio vede il sole.
«Chi siete? Dove sono?»
«Niente domande, per l’amor di Dio» sibila qualcuno «Non hai mangiato abbastanza?»
«È scandaloso, protesterò» dice una voce femminile «sono una giornalista di Repubblica, io!»
«E allora? Io sono del Giornale.»
«Io del Fatto quotidiano.»
«Siamo tutti giornalisti?»

Vengono messi in fila e il cappuccio viene rimosso. Si trovano in un cantiere, davanti a un tunnel di cemento che scende in profondità. Alcuni di loro indossano abiti da ufficio, altri il pigiama, uno soltanto un accappatoio. Si contano, sono in tredici. Un uomo incappucciato gli mette un elmo con torcia sulla testa:

«Allora, vi trovate in periferia di Tijuana, dove una grossa azienda italiana ha vinto il bando per ricostruire l’impianto fognario. Ci sono alcune cose che dovete sapere»
«Io faccio un casino, vi avverto! Sono uno dei diecimila curriculum selezionati per-
«Certo, certo. Allora, lavorerete lì sotto con turni di 14 ore e vi nutrirete con quello che troverete laggiù. Ascoltatemi, perché da quello che vi dico dipende la vostra sopravvivenza. Abbiamo già perso molti uomini, lì sotto, chiaro? Queste informazioni ci sono costate parecchio.»

I giornalisti ammutoliscono.

«La prima è che alle nove e mezza in punto arriva l’onda di quelli che evacuano alla stessa ora. L’intera cloaca principale si satura; verrete aggrediti da un muro marrone di escrementi e carta igienica capace di spazzare via ogni cosa. Alle pareti vi sono degli appigli. Voi dovrete agganciare i moschettoni che vi daremo e trattenere il fiato. Non dura più di venti secondi.

La seconda cosa è che qui la gente si nutre di cibi classificati armi batteriologiche. Ogni cosa è speziata, pepata e già mezza guasta in partenza. Questa mole di cibo viene processato dall’organismo di messicani resi pazzi dalla droga, che poi lo espellono con veemenza. I metalli non reggono il coefficente corrosivo, dunque la ristrutturazione dev’essere fatta a pietre e cemento. E qui arrivano i veri problemi.

Problema uno: le pietre devono essere spaccate nella cava Enfierno de puños y muerte atroz, dove fanno i lavori forzati i narcotrafficanti del carcere di Pedras negras. In realtà è un centro d’addestramento di sicari e un campo di sterminio. Va aggiunto che la temperatura sfiora i 50°, l’acqua è contaminata dalle radiazioni delle scorie nucleari e ci si ciba di prelibati scorpioni e resti umani. Lo sconsiglieremmo al personale femminile, ma non vogliamo essere tacciati di sessismo: nel gruppo di volontari metteremo una quota rosa.»

«Ah, bene!» esclama la giornalista.

«Sì. Problema due: il cemento che avete a disposizione è stato fornito dalla ditta Marangon-De Luca, una strana holding venetocalabra spuntata dal nulla e scomparsa altrettanto in fretta. La malta è stata bandita da qualunque cantiere occidentale, ma l’abbiamo rinforzata grazie a ingenti dosi di Vinavil.»
«Ma state scherzando?» sbotta un uomo «Non potete farci questo, siamo cittadini italiani!»
«Eh no. Vi siete autodichiarati cittadini del mondo, cosa che implica l’immediato arruolamento nelle squadre fognarie globali: costruire un mondo migliore dalle sue fondamenta.»

«Le squadre…?»
«Sì. Inizialmente avevamo pensato di farvi fare i rider, ma è un posto ambitissimo da miliardari, capi di Stato, liberi professionisti e plurilaureati. Resta solo questo. Via, via, al lavoro.»

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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