Croazia: Tomislav Karamarko, già in odor di mafia, alla guida del partito che fu di Tudjman

Pubblicato il 1 Giugno 2012 alle 13:24 Autore: EaST Journal

Non è un membro storico dell’Hdz, anzi lasciò il partito già a inizio anni Novanta per contrasti con Tudjman. Si unì ai dissidenti (Hnd, democratici indipendenti) di Stjepan Mesić, ultimo presidente della Jugoslavia unita, contrario alla politica di divisione della Bosnia Erzegovina sostenuta da Tudjman. Karamarko rimase con Mesić anche dopo la morte di Tudjman, nel dicembre 1999: era allora alla guida del quartier generale di Mesić quando questi partecipò alla corsa per la presidenza della Repubblica. E vinse, restando in carica fino al 2010. Come scrive Drago Hedl “dopo la vittoria di Mesić la loro alleanza si indebolì: il nuovo presidente croato non era d’accordo con l’idea di potenziare troppo i servizi segreti e con l’idea di Karamarko di concentrare il potere dell’intelligence nelle mani di un solo uomo”.  Karamarko si diede allora agli affari fondando un’azienda che si occupa di analisi  e sicurezza e stringe accordi redditizi con aziende il cui proprietario di maggioranza è lo Stato, come l’industria petrolifera Ina, l’Oleodotto, le Autostrade croate o l’industria alimentare Podravka. Affari d’oro che lo fanno diventare un uomo ricco, e quindi potente. Al punto da stringere accordi con la mafia?

Ad accusare Karamarko di collusione con il crimine organizzato c’è, oltre all’inchiesta di Demagoj Margetic, la testimonianza di Robert Matanic, condannato per la morte del giornalista Ivo Pukanic, che stava indagando proprio sulle relazioni tra mafia e politica croata. Intorno a Karamarko c’è poi un alone di mistero legato al nome di Zeliko Peratovic, altro giornalista, arrestato dopo aver scritto di alcune vicende legate ai crimini di guerra dei primi anni Novanta che coinvolgono Karamarko. Il ministro degli Interni ha così chiesto e ottenuto che si svolgesse a suo carico un processo per diffamazione. Una vicenda che mobilitò Amnesty International e Reporter sans Frontiéres e che si è risolta, il primo febbraio scorso, con l’assoluzione del giornalista. Ma la vicenda qui si complica enormemente. Riassumendola, con buona semplificazione, possiamo dire che fonti giornalistiche accusano Karamarko di essere stato l’uomo dei clan al governo Sanader, la sua nomina a ministro è stata motivata proprio dalla serie di attentati di matrice mafiosa che insanguinarono la Croazia. Prima venne uccisa Ivana Hodak, figlia del noto avvocato zagabrese che aveva difeso il generale Vladimir Zagorac, poi l’omicidio dell’editore e giornalista Ivo Pukanić, proprietario del settimanale politico Nacional.  La Croazia – scrive ancora Drago Hedl – “era sull’orlo del caos, ad un soffio dall’introduzione dello stato di emergenza, ma Sanader decise per Karamarko, ritenendolo in grado di fermare l’ondata di terrore”. Karamarko riesce nel suo intento con l’aiuto dei clan, se vogliamo credere alle ricostruzioni di Margetic e Peratovic. Ma non si ferma qui.

Ivo Sanader, allora primo ministro, riceve minacce di morte dai clan. Implicato in una serie di affari sporchi (per cui è oggi sotto processo) si trova anche sotto la pressione internazionale che chiede di far pulizia nel Paese, liberandolo dalle troppe collusioni criminali, al fine di far entrare la Croazia nell’Unione Europea. Sanader, minacciato e pressato, si dimette e fugge negli Stati Uniti. Dopo un anno torna in patria ma su di lui scatta un mandato d’arresto internazionale. Risulterà implicato anche in uno scandalo finanziario di enormi proporzioni (di cui abbiamo parlato per quanto riguarda Hypo Bank e per quanto riguarda Unicredit). Nel frattempo, a Belgrado, va in scena una branca del processo per la morte di Pukanic. Robert Matanic, condannato in primo grado a 33 anni di prigione dal tribunale di Zagabria perché coinvolto nell’omicidio Pukanic, testimoniando in collegamento video, ha affermato davanti al Tribunale speciale di Belgrado che nell’uccisione di Pukanic gioca un ruolo importante Tomislav Karamarko.

Ombre, accuse, illazioni. Ma Karamarko ne è sempre uscito pulito. Oggi è il leader dell’Hdz e per chi sperava in una riforma del partito non è una buona notizia. Anche se tutti gli alti papaveri sono stati eliminati, svecchiando il partito, la leadership dell’Hdz mantiene un’impronta criminale che angoscia e inquieta. Occorre però dire che oggi il Paese, governato per la prima volta nella sua storia da un esecutivo socialista e da un presidente socialista, mostra di stare maturando in direzione di una più compiuta democrazia europea. Avrà gli anticorpi per fronteggiare Karamarko?

Da EastJournal

di Matteo Zola

L'autore: EaST Journal

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