La “favola della crisi europea” e l’eterna tentazione del moralismo

Pubblicato il 4 Luglio 2012 alle 15:38 Autore: Giacomo Bottos
Merkel interessata al cambio di Governo italiano

Attraverso questa storia, la crisi europea è diventata un morality play, un dramma edificante fatto di colpe, punizioni, sacrifici, incoraggiamenti e reprimende, secondo una struttura narrativa che è a tutti familiare fin dall’infanzia e che fa leva su errori da cui nessuno può chiamarsi fuori.
La favola fa leva su elementi di verità, include rimproveri che in determinati casi sono giustificati. Chi vuole supportare questa favola con esempi tratti dalla realtà né troverà sempre un’infinità (assunzioni clientelari, episodi di corruzione, inefficienze). Non solo, troverà in questa favola un’utile mezzo per denunciare giustamente tali episodi. E potranno invece leggere i tentativi di attribuire la crisi principalmente al comportamento dei tedeschi come un tentativo di scaricare su altri le proprie responsabilità ed evitare di cambiare. Il loro argomento è forte e convincente: dopotutto ce lo siamo meritato!

Qual è il problema di questa lettura? Semplicemente il fatto che è completamente sbagliata. Come ho spiegato nell’articolo “Angela Merkel, o dei pericoli del senso comune” la dinamica e lo sviluppo della crisi è dovuta molto di più all’orientarsi del comportamento tedesco in base a questa favola che non alle cause addotte da questa favola stessa.

Siamo qui di fronte a un singolare intreccio e confusione di piani, che ci porta a interrogarci sui rapporti tra morale, politica ed economia.

Un principio classico della tradizione europea è la separazione di morale e politica. Si tratta di un principio oggi spesso dimenticato e trascurato, perché negli ultimi decenni da questo punto di vista la nostra politica ha assunto sempre più aspetti e moduli propri della tradizione anglosassone, nella quale il confine tra i due ambiti tende ad essere sottile. Ma questo non è necessariamente un bene.
Separazione tra politica e morale non significa naturalmente che la politica sia o debba essere immorale, ma semplicemente che la “moralità della politica” si valuta secondo altri parametri rispetto a quella delle persone. Un grande uomo di Stato può essere al contempo una persona dedita ai vizi, ma questo non ne intacca la qualità politica (la storia abbonda di esempi del genere). Non solo, ma la politica può usare mezzi che normalmente sarebbero considerati immorali (si pensi al caso emblematico dei servizi segreti) per perseguire quello che dal punto di vista del paese è un bene maggiore.
La vera distinzione tra una politica “morale” e una politica “immorale” è un’altra. “Morale” è la politica che mette i mezzi e la necessaria conquista del potere al servizio di un fine o di un’idea, mentre “immorale” è quella politica in cui la ricerca di potere e privilegi è fine a se stessa. E’ qui che va ricercata la vera insufficienza della politica degli ultimi decenni. Nell’aver perso quella carica ideale e progettuale che l’aveva caratterizzata in precedenza. E’ a quel punto che i giusti onori che vengono tributati all’uomo di Stato diventano “privilegi”, che la classe politica e dirigente diventa “casta”, che lo Stato diventa sinonimo di spreco e corruzione.
Il problema è che questo discorso polemico contro la politica, giusto nella misura in cui serve a denunciare il decadimento di questa nei confronti di ciò che dovrebbe essere, tende a diventare invece giustificazione dello smantellamento della politica stessa e della sua funzione. Per lungo tempo si era pensato che la politica fosse diventata tutto sommato storicamente inutile, sorpassata, che dovesse limitarsi ad una semplice amministrazione dell’esistente. Questo perché esisteva un’idea più o meno condivisa delle caratteristiche del sistema e un ordine internazionale sostanzialmente stabile. In questa situazione non vi erano grandi scelte da compiere, si trattava di applicare più o meno bene (in maniera più o meno efficiente) una ricetta unica.
Ora non è più così. La crisi solleva delle domande che interpellano qualcosa di più profondo: diverse visioni della società, la necessità di una comprensione profonda dello scenario internazionale, le ipotesi di riforma del sistema economico globale.

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L'autore: Giacomo Bottos

Nato a Venezia, è dottorando in filosofia a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore. Altri articoli dell’autore sono disponibili su: http://tempiinteressanti.com Pagina FB: http://www.facebook.com/TempiInteressanti
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