Può la politica essere una professione?

Pubblicato il 30 Giugno 2012 alle 17:07 Autore: Matteo Patané
politici per professione

Un secondo aspetto di vitale importanza riguarda l’appeal che perderebbe la professione di politico rispetto al presente. Diventerebbe assimilabile ad una qualsiasi un’occupazione a termine, senza alcuna opzione di rinnovo allo scadere del tempo stabilito. In particolare, la questione diventa dirimente se, come propongono certe forze politiche, si desidera combinare il tetto al numero di mandati con un severo abbassamento degli stipendi dei politici.
Che attrattiva avrebbe un posto di lavoro a termine a dieci anni, con nessuna possibilità di carriera e che permetterebbe scarse possibilità di reimpiego una volta terminati i mandati? I sostenitori di queste proposte hanno gioco solo apparentemente facile a ribattere che l’amministrazione della cosa pubblica non deve essere considerata un lavoro, ma un servizio verso lo Stato. Il cittadino prestato alla politica.
Per quanto forte possano essere lo spirito di servizio ed il senso di dovere civico, tuttavia, diventa arduo immaginare professionisti e lavoratori sgomitare per ritagliarsi un posto in politica: il mondo del lavoro necessita un aggiornamento costante, richiede rapporti interpersonali coltivati con cura, e non può essere compatibile con un impegno politico. Quale avvocato, informatico, medico, lascerebbe il posto di lavoro sapendo che andrebbe a guadagnare una cifra inferiore al più paragonabile al proprio attuale reddito, perderebbe nel corso della propria attività politica tutta la propria clientela, resterebbe indietro rispetto alle novità introdotte nella propria professione nel corso del suo mandato… per poi essere costretto a lasciare la politica e rientrare nel mondo del lavoro? In che modo potrebbe riaffacciarsi con successo nella propria attività?

Questo interrogativo apre le porte a due conclusioni essenziali per capire gli effetti ultimi della rabbia contro il sistema politico vigente in Italia.
In primo luogo è evidente che la scomparsa del politico di professione comporterà anche la scomparsa delle competenze legate a questa figura. Ammesso e non concesso infatti di individuare per ciascun ruolo politico una figura professionale in grado di ricoprirlo, è evidente che vi sono fattori personali che incidono in maniera anche determinante sulla qualità dell’operato di un governante. Basti pensare alla diplomazia, in cui la conoscenza delle persone che si hanno di fronte può determinare l’esito di una trattativa. O al mondo dell’intelligence, in cui lo spoil system è semplicemente una pratica impraticabile. Il rifiuto di considerare la politica un lavoro, ed il credere che il compito del politico possa essere svolto in maniera altrettanto efficace da semplici esperti nei rispettivi campi – ovvero i cosiddetti tecnici – è un’utopia destinata ad infrangersi contro la semplice realtà dei fatti.
Il secondo aspetto dirimente riguarda coloro che potrebbero permettersi di fare politica in simili condizioni. Salvo rare e lodevoli eccezioni ascrivibili comunque al campo delle vocazioni individuali, restano tre categorie: coloro i quali vedrebbero comunque il genere di occupazione previsto per i politici come un miglioramento, ovvero in genere precari, disoccupati, lavoratori a bassa o nulla specializzazione; persone dotate di una ricchezza tale da non considerare problematica un’uscita dal mondo del lavoro; persone di per sé al di fuori del mondo del lavoro, quindi i pensionati. Sicuramente un risultato poco attraente per chi spera un migliormento della qualità della democrazia.

Resta da chiedersi come sia possibile arrivare a simili risultati partendo da premesse indubbiamente auspicabili come favorire l’avvicendamento dei politici e limitare i privilegi che la Casta si è accordata nel corso degli anni.
La realtà è che una soluzione così radicale altro non è che un eccesso nel senso opposto rispetto a quello attuale; malgrado la rabbia, l’indignazione e spesso il senso di rivalsa, occorre non cedere a facili populismo e cercare con la giusta razionalità soluzioni che oltre a soddisfare bisogni immediati “di pancia” siano in grado di configurare un sistema politico migliore dell’attuale e non solo diverso.

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
Tutti gli articoli di Matteo Patané →