L’Europa è in guerra?

Pubblicato il 5 Luglio 2012 alle 19:14 Autore: Matteo Patané

Alcuni degli effetti più evidenti di questo fenomeno riguardano naturalmente il controllo del know-howscientifico, dal momento che i brevetti sarebbero nelle cassette di sicurezza di società straniere, la sudditanza energetica, con una distribuzione di energia sottoposta alle decisioni di aziende straniere, e in ultima analisi la riduzione dello Stato più debole a semplice supermercato in cui esporre i propri prodotti e da cui mungere capitale.
Solo in un secondo tempo, e solo dopo un intollerabile abbassamento delle condizioni di vita, la convenienza economica degli investimenti nel Paese più debole sarebbe sufficientemente rilevante da arrestare questo fenomeno. Ma il prezzo da pagare per arrivare ad un simile stadio sarebbe altissimo.

D’altra parte, sembra impossibile che uno Stato possa cedere in questo modo la propria sovranità ad un altro Paese senza colpo ferire… persino uno Stato in perenne debito di ossigeno come l’Italia, schiacciata da un debito pubblico immenso.
Le regole del capitalismo liberista, che dal reaganismo degli anni ’80 regolano o dovrebbero regolare la vita degli Stati d’Europa, prevedono una netta separazione tra politica ed economia, tra pubblico e privato: in questo senso, l’acquisizione di un’industria da parte di un gruppo straniero non dovrebbe e non potrebbe essere vista come parte di una manovra più ampia di egemonia transnazionale.
Eppure la realtà dei fatti dimostra che non è così: da un lato molti Stati – come dimostrano ad esempio gli interventi francesi degli ultimi anni a difesa del proprio settore energetico – giocano un ruolo molto attivo a protezione dei propri settori chiave; dall’altro gli Stati più deboli sono spesso costretti a intraprendere la strada delle privatizzazioni per pagare il proprio debito pubblico, sottraendo al controllo statale intere filiere industriali e affidandole al molto più rischioso mercato privato.

Soprattutto in Italia riesce forse difficile pensare che un’azienda privata possa lavorare al servizio dello Stato, fino all’estremo paragone di diventarne un braccio armato – economicamente parlando. Una compagnia energetica come Edison in mano a EdF non è certo come porla in mano al governo francese. È tuttavia innegabile che il business core di EdF non è certo l’Italia dove opera la controllata Edison, ed il nostro Paese viene quindi visto come mercato periferico: nel migliore dei casi terra di penetrazione commerciale, nel peggiore una mera riserva di risorse, eventualmente da sfruttare altrove.

Se, quindi, una posizione dominante in fatto di credito e debito pubblico può essere fondamentale per l’acquisizione degli asset strategici di un Paese, se una penetrazione commerciale pur privata equivale ad una sudditanza dello Stato, allora diventa più semplice vedere nelle vicende della recente storia dell’Unione Europea un gigantesco, unico, conflitto.
Se per una certa linea di pensiero le posizioni inflessibili di Angela Merkel sul rigore dei conti – appena intiepidite da un accordo che versa comunque generose contropartite in termini di governance – appaiono meramente dogmatiche, occorre ripensarle alla luce del vantaggio che avrebbe la Germania da una prosecuzione lungo l’attuale linea politica.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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