Lo scandalo Libor, o la Tangentopoli della finanza

Pubblicato il 12 Luglio 2012 alle 11:16 Autore: Giacomo Bottos

In primo luogo lo scandalo Libor rappresenta la fine di un mito, mito di cui proprio Tangentopoli rappresenta invece uno dei momenti fondativi, o comunque di consacrazione. Si tratta di quella visione che tende a considerare la politica come luogo di corruzione e malaffare, di clientelismo e inefficienza, e vede in questo una giustificazione per delegare il potere di ultima istanza e di controllo sulle decisione di questa all’entità impersonale dei “mercati”. I mercati, affidando le decisioni non a singoli individui ma ad un equilibrio determinato da miriadi di decisioni individuali, orientate dall’informazione che doveva essere resa disponibile a tutti in modo trasparente, sarebbero stati i migliori giudici delle decisioni prese, premiando i comportamenti virtuosi e sanzionando quelli negativi. In tutto questo, il sistema dei prezzi e degli interessi svolge un ruolo cruciale, fungendo sia come veicolo d’informazione che come base per le decisioni dei vari attori del sistema. In molti hanno da sempre considerato questo sistema come un modello idealizzato che non riflette le condizioni reali, e hanno evidenziato i molti “fallimenti del mercato“. Tuttavia bisogna riconoscere (ed è questo il fattore che ha permesso a questo sistema di mantenersi così a lungo, nonostante le critiche) come questa idea non sia priva di eleganza teorica né di suggestione. Proprio per questo lo scandalo delle banche londinesi è importante: perché rende palese agli occhi di tutti come dietro al processo di formazione di uno dei tassi più importanti in assoluto (che sta alla base del calcolo degli interessi dei mutui di innumerevoli individui e famiglie) stiano meccanismi umani, troppo umani.

Se cade l’illusione che i mercati garantiscano sempre e comunque l’allocazione più efficiente delle risorse (ma efficiente poi per chi?) cade contemporaneamente l’interdetto contro l’intervento della politica nell’economia.
Tanto più che, venendo meno questa pretesa, risulta evidente una superiorità e un primato concettuale della politica sulla finanza: dove la prima mantiene, pur in tutti i suoi errori, abusi e deviazioni, un rapporto con l’idea di bene pubblico e interesse generale, la seconda rispecchia soltanto gli interessi di ristretti gruppi oligopolistici.
La differenza tra il discorso di Diamonds e quello di Craxi sta nel fatto che, mentre quello di Diamonds si conclude così, con una chiamata di correità dell’intera classe dirigente e con un tacito ricatto nei confronti di essa, Craxi intende con esso esortare la politica ad assumersi le sue responsabilità e a prendere le scelte necessarie per autoriformarsi, cosa che purtroppo allora non fu in grado di fare.

Anche in Italia, ora che quell’effimera e inconsistente seconda Repubblica alla quale gli scandali di Tangentopoli dettero inizio si avvia al tramonto, dovremmo avviare nuovamente una riflessione su queste tematiche e fare autocritica su troppi giudizi superficiali o semplicistici del passato. Solo su questa base la discussione su una ventura Terza Repubblica, sull’Europa e sul nostro posto nel mondo potrà essere correttamente impostata.

L'autore: Giacomo Bottos

Nato a Venezia, è dottorando in filosofia a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore. Altri articoli dell’autore sono disponibili su: http://tempiinteressanti.com Pagina FB: http://www.facebook.com/TempiInteressanti
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