Praga e Bratislava. Distanze variabili nel ventennale del divorzio di velluto
Visione decisamente tranchant ma, come già specificato, mettere bocca dall’esterno in faccende di questo tipo è sempre un azzardo. Limitiamoci così a propendere per la visione maggiormente diffusa tra i cechi di spiccate simpatie comunitarie vale a dire ok, ammettiamo seppure a denti stretti questa tendenza alla grandeur e poca propensione alla condivisione, ma senza generalizzare e demonizzare. E se anche esiste un rapporto scricchiolante con l’Unione Europea, ricordiamo che molto deve essere imputato al presidente della repubblica Klaus, carica non direttamente elettiva e padre nobile di un partito – l’Ods di centrodestra – al momento minoritario rispetto ai socialdemocratici e probabilmente sconfitto alle prossime elezioni. Ricordiamo che non registriamo derive nazionalistiche e la Slovacchia si è sicuramente identificata nel profondo con l’UE ma ha pure continuato a sfornare fenomeni come Ján Slota, pescabili con difficoltà nel panorama politico nostrano.
Un giochetto che potrebbe proseguire all’infinito, consegnandoci teorie in numero uguale agli interpellati lungo l’asse Praga-Bratislava. Magari emblematico della faccenda quanto mi spiegò un giorno un amico ceco riferendosi al collega slovacco (entrambi designer in pausa pranzo su Malostranské náměstí): «macché senso di superiorità e manie di grandezza. Lui per esempio cucina benissimo. Anche se io più leggero. E usa sempre ingredienti naturali. Anche se io li pronuncio meglio.»
Buon ventennale di velluto a tutti.
di Gabriele Merlini