Schwazer, la FIDAL e i media

Pubblicato il 11 Agosto 2012 alle 12:12 Autore: Matteo Patané
schwazer

Dalle parole di Schwazer e dall’inchiesta ufficiale è stato possibile ricostruire non solo la cronologia degli eventi, ma anche – seppure quanto affermato dall’atleta debba ora passare al vaglio degli inquirenti – le persone coinvolte e le motivazioni del marciatore altoatesino, svelando un quadro di solitudine e fragilità che non può non indurre a riflessioni sul ruolo e sull’operato delle società di atletica nel Paese e più ancora della federazione nazionale di atletica leggera.

Dopo i controlli di routine di metà luglio, Schwazer ha affermato di aver iniziato a prendere l’EPO, prima di essere smascherato da un controllo a sorpresa indetto dalla WADA il 30 luglio, nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla procura di Padova sul controverso medico Ferrari, già coinvolto nello scandalo doping di Lance Armstrong.
A seguito dell’ammissione del marciatore altoatesino il CONI ha provveduto a prendere repentinamente le distanze dall’atleta, secondo le parole di Petrucci “meglio una medaglia in meno che una medaglia dopata”, parole senza alcun dubbio condivisibili ma un po’ vuote se si pensa al ruolo nullo avuto dallo sport italiano nella prevenzione del caso di doping di Schwazer, al fatto che l’irregolarità fosse emersa a seguito di un controllo internazionale e non interno e infine all’assenza di alternative valide per il CONI se non cacciarsi in un vicolo cieco difendendo l’indifendibile.
Nel corso della sua conferenza stampa Schwazer ricostruisce un quadro complesso, mettendosi in qualche modo a nudo dinanzi alle telecamere e fornendo un quadro che, seppure incompleto e a volte contradditorio tanto nella ricostruzione degli eventi quanto nell’introspezione psicologica.
Secondo la ricostruzione dell’atleta, Schwazer avrebbe comprato l’EPO da solo, ordinandola via internet e recandosi in Turchia per acquistarla, diverso tempo prima di farne uso. Non sembra, quindi, essere stato un gesto istintivo e impulsivo, quanto piuttosto un procedere meditato, anche se indubbiamente molto sofferto.
Schwazer ammette anche i legami con il chiacchieratissimo dottor Ferrari, sostenendo però di essersi recato da lui unicamente per il suo ruolo di preparatore atletico per le corse di endurance e non per procurarsi l’EPO. Si tratta di un’affermazione che lascia in effetti scettici, in quanto la nomea di Ferrari rende difficile credere che un atleta possa contattarlo per un ruolo da semplice preparatore atletico, e che sembra che il controllo a sorpresa della WADA sia stato spinto proprio dalle frequentazioni di Schwazer con il dottore.

L’atleta non si sottrae tuttavia nemmeno alle difficilissime domande sul perché abbia scelto di intraprendere una simile strada, disegnando un quadro ricco di inquietudini e di ombre che non può che stupire e far riflettere il telespettatore e lo sportivo medio, e apre finestre interessanti sul mondo dell’atletica italiana; non è da trascurare il fatto che Schwazer sia riuscito – pur in un clima molto pacato, in cui sapeva di essere lui il primo e principale colpevole – a indirizzare alcune serie stoccate tanto al mondo della federazione quanto ai media, che dovrebbero essere seriamente prese in considerazione e che dovrebbero far riflettere il mondo dello sport italiano per le possibili implicazioni.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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