Amazzoni o rusalke? Le donne slave, tra libertà sessuale e mitologia
La parola rusalki (rusałki, rusálke, rusalije, pусалки) è un termine generico per indicare le divinità, gli spiriti e i demoni femminili associati ai fiumi e ai laghi nella mitologia slava. Le varie tradizioni slave connotano differentemente le rulsaki, variandone caratteristiche fisiche e funzioni. In Russia sono note come beregine (da bereg, che significa sponda, riva). Nei Balcani vengono chiamate samovile dai bulgari e vile da serbi e croati. Il loro aspetto era attraente, giovane ed erotico: lunghi capelli intrecciati e occhi verdi, nude o vestite solo di fiori, il loro scopo era attrarre l’uomo infedele nelle spire dell’acqua. In taluni casi erano rappresentate come donne metà pesci, come le sirene della mitologia classica. Per inciso, il simbolo della città di Varsavia, legato al mito fondativo, è appunto una sirena. In generale venivano associate all’acqua e alla primavera, e potevano influire sulla fecondità delle donne, sui raccolti, sulla pesca, curare malattie, ma anche causare la morte.
Le rusalki erano dunque figure pericolose: la notte uscivano dall’acqua sedendosi sui rami dei platani e chiamando gli uomini di passaggio. Se questi erano infedeli, venivano travolti dalle acque e uccisi. La donna tradita, divenuta rusalka, poteva liberarsi dalla sua condizione demoniaca quando l’amante infedele veniva infine punito.
La rusalka oggi
Alle rusalke sono ancora oggi dedicate feste. In Ucraina vengono ricordate con una festa all’inizio della primavera, connessa alla fecondità. E’ interessante notare come il mito delle rusalki racchiuda una serie di significati, in parte sopravvissuti nel folclore e nella mentalità slava, che fanno della donna un essere magico, legato alla ri-generazione della natura, ma al contempo demoniaco. Un essere capace di vendicarsi se viene tradito il patto amoroso. Un essere che può dare la morte pur legandosi alla vita, che agisce dominata dall’odio perché ha conosciuto l’amore.
Forse non è temerario affermare che questo mito sopravviva – per estremo – nelle lotte di movimenti come le Femen (che nude, appunto, attraggono con l’inganno erotico ma il cui scopo è una rivendicazione sociale) o nelle ormai note Pussy Riot, in cui l’elemento erotico presente fin nel nome si lega a un ben più radicale messaggio politico. Il patto che è stato rotto è appunto quello sociale, il riconoscimento della sostanziale uguaglianza tra i sessi. Uscendo dai casi di cronaca, invero un po’ estremi, esiste nella donna slava un richiamo all’autonomia (mai realmente negata) che si scontra con il paternalismo di società mascoline e muscolari.
Massimiliano Di Pasquale, nel suo Ucraina terra di confine, racconta di Asgarda, un gruppo di centocinquanta ragazze che si proclamano discendenti delle Amazzoni. Kateryna Tarnovska, leader del movimento, dichiara che lo scopo è emancipare l’Ucraina dal retaggio totalitario, liberando i sogni e desideri delle donne. Donne che vivono secondo una regola comune, e le cui figlie vengono “educate” dal gruppo una volta raggiunta l’età di tre anni. L’acqua è l’elemento sacrale. Asgarda, nome dell’associazione, fa riferimento alla mitologia nordica. Un pasticcio culturale? Non proprio se ricordiamo che il primo regno russo, quello kieviano, è stato fondato da guerrieri vichinghi. Tutto si tiene, nel passato e nel presente delle donne slave.
di Matteo Zola