Srpska connection? Le relazioni Belgrado-Banja Luka dopo l’elezione di Nikolić

Pubblicato il 18 Settembre 2012 alle 19:33 Autore: EaST Journal

Tra interessi strategici e calci alle porte

Partendo da questi episodi, si possono ipotizzare ragioni più profonde riguardo a un presunto raffreddarsi dei rapporti tra Belgrado e Banja Luka. Primo: tanto Nikolić quanto Dačić vogliono fare pagare a Dodik il suo esplicito appoggio manifestato all’avversario Tadić in campagna elettorale: un’invasione di campo da sanzionare pesantemente. Secondo: poiché tra le due sponde della Drina passano numerosi incroci di potere politico e soprattutto economico-finanziario, la nuova leadership di Belgrado vuole portare avanti i propri uomini ed interessi nelle posizioni-chiave, mandando il messaggio a Dodik che la musica è cambiata dall’era-Tadić. Il caso Ljubojević ne sarebbe un chiaro esempio. Terzo: a ottobre si terranno le elezioni amministrative in RS. Si voterà a Banja Luka e in tutte le principali città. È possibile che la leadership belgradese cerchi di screditare Dodik agli occhi dei serbo-bosniaci per ridimensionare il suo partito (SNSD, Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti). Nikolić ha buoni rapporti con l’SDS, il partito serbo-bosniaco ultranazionalista (quello che fu di Radovan Karadzić e Biljana Plavsić, per intenderci) che in questa tornata elettorale sogna la riscossa dopo un lustro di dominio quasi incontrastato dell’SNSD in tutta la RS.

Tirando le somme: Nikolić e Dačić hanno voluto, intenzionalmente, tarpare le ali a Milorad Dodik e alla sua disinvolta irruenza che inizia ad infastidire certi ambienti belgradesi. Hanno fatto intendere che è la Serbia a dettare l’agenda. Ad avere l’ultima parola sugli affari politico-finanziari comuni. A decidere quando è l’ora di spararle grosse contro i vicini e quando, invece, è il momento di ostentare la calma sullo scacchiere regionale. A incaricarsi delle partnership internazionali (leggi Russia di Vladimir Putin, a cui sia Dodik, sia Nikolić sono molto legati).

L’atteggiamento di Nikolić e Dačić è in continuità con il tipico paternalismo della Serbia nei confronti dei cosiddetti “fratelli d’oltre-Drina”, le cui radici risalgono alla guerra di Bosnia. Nel 1993 la leadership della RS rifiutò di firmare il Piano Vance-Owen, respingendo con sprezzo l’estenuante pressione di Slobodan Milošević a favore dell’accordo. L’apporto militare ed economico della Serbia alla RS nel conflitto bosniaco sarebbe rimasto quasi immutato, ma “Slobo” non si scordò mai di quella vicenda. Nel 1995, durante le trattative per Dayton, emarginò platealmente la delegazione serbo-bosniaca, per rifarsi dell’umiliazione subita due anni prima e ristabilire le gerarchie di potere dei cosiddetti “interessi comuni serbi”.

Come vent’anni fa: nonostante le scaramucce, molti interessi strategici restano comuni, come ha dimostrato il vertice tra i due premier, il serbo Dačić e il serbo-bosniaco Džombić svoltosi a Belgrado a fine agosto, provvidenziale nello stemperare il gelo che apparentemente soffiava tra l’est e l’ovest della Drina. Si sono accordati su temi concreti, come la cooperazione economica e progetti infrastrutturali comuni. Serbia e RS, nella sostanza, rimangono vicine. Basta che chi comanda a Banja Luka impari la singolare regola enunciata da Tomislav Nikolić (che si riferiva a Dodik per condannarne l’irruenza politica): “Le porte non si possono aprire tutte a calci”. Non perché sia sbagliato di per sé, ma perché il diritto di dare i calci spetta ai serbi dell’est della Drina. Non a quelli dell’ovest. A meno che questi non chiedano prima il permesso a Belgrado.

di Alfredo Sasso

da EastJournal

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