Spread, i sacrifici erano necessari?

Pubblicato il 18 Settembre 2012 alle 16:49 Autore: Matteo Patané
spread

Ma si tratta di un ragionamento corretto?

L’assunto di fondo di chi propugna una simile tesi è che Draghi – e con lui la BCE – avrebbe potuto prendere la sua decisione e pronunciare quelle fatidiche parole in qualsiasi momento, risparmiando agli Stati manovre depressive e destabilizzanti. La semplice cronaca della faticosa trattativa necessaria per arrivare ad un simile risultato evidenzia tuttavia come Draghi non sarebbe mai potuto arrivare ad un simile risultato se i Paesi poco virtuosi non avessero iniziato politiche incisive di risanamento economico: se Italia e Spagna non avessero intrapreso, con riforme anche dolorose, quei passi necessari al contenimento della spesa e del debito, a votare contro il progetto di Draghi non ci sarebbe stata solo la Germania, ma un intero gruppo – sicuramente maggioritario – di Paesi virtuosi che a quel punto avrebbe avuto ragione a rifiutarsi di finanziare il debito di Paesi non solo spendaccioni, ma persino incapaci di ravvedersi con politiche adeguate.
Non è quindi vero che qualsiasi azione operata dall’esecutivo italiano sarebbe stata priva di impatti nella determinazione delle politiche europee; così come sarebbe impossibile pensare che la credibilità dei singoli Stati non abbia influenze quando si tratta di verificare la capacità di mantenere gli impegni. Sicuramente è corretto affermare che il vento è cambiato dopo l’elezione di Hollande in Francia, ma è altrettanto vero che l’atteggiamento verso i l’Italia da parte dei principali partner europei ha subito un profondo mutamento con il cambio di governo nel Paese.

Vertice europeo Francia – Germania (23/10/2011)
Vertice europeo Francia – Germania – Italia (24/11/2011)

La forza contrattuale di Draghi, nel momento in cui si è schierato per l’integrità dell’area Euro in difesa dei Paesi più deboli, è stata sicuramente ingigantita dal cambio di governo avvenuto nel nostro Paese, sia in termini di credibilità e prestigio, sia in termini di scelte politiche effettuate, o per essere più precisi dei saldi contabili a cui conducono tali scelte: le istituzioni europee, infatti, non entrano nel merito di come vengano reperite le risorse, ma si preoccupano di come queste vengano utilizzate per garantire la sostenibilità a lungo termine dello Stato.

Il comportamento di chi, osservando meramente il grafico dello spread degli ultimi giorni, si lancia in accuse complottiste o in peana assolutori, si pone ben oltre il limite della faciloneria in buona fede. Può essere vero che una parola di Draghi abbia il potere di abbattere o innalzare lo spread di decine o centinaia di punti base, ma il lavoro politico necessario per mettere Draghi nella condizione di poter dire quella parola, e ancora di più per far seguire alle parole le azioni, è stato assolutamente indispensabile.

La reale riflessione da mettere in campo riguarda invece un altro aspetto fondamentale: come mai le politiche intraprese dal Governo non hanno avuto impatti duraturi sui mercati? Perché si è reso necessario un intervento diretto della BCE?
La risposta a questa domanda è duplice. In primo luogo è necessario rendersi conto che i mercati globali ragionano ormai su dimensioni ben più ampie di quelle statali, e che un singolo Paese non ha più l’inerzia necessaria a deviare un andamento di mercato; il quesito precedente deve quindi essere riscritto pensando a come mai ad un intervento statale non è seguito automaticamente un recepimento da parte della BCE.
E qui i colpevoli sono ancora una volta i politici, incapaci, nel decennio di tranquillità economica seguito all’introduzione dell’Euro, di premunirsi contro i periodi di crisi, incapaci di pensare a strategie automatiche di difesa contro la speculazioni, incapaci, infine, di rinunciare ad una parte della sovranità economica nazionale per costruire il piano successivo della costruzione europea.
La politica nazionale non è ininfluente su scala europea, e non è rinunciandovi e richiudendosi in recinti separati che si potrà uscire dalla crisi. Al contrario, l’Europa è ormai l’interlocutore con cui i mercati si aspettano di avere a che fare, e l’Europa, intesa tanto come politica sovranazionale quanto come somma delle politiche nazionali, ha il dovere di non farsi trovare mai più impreparata come accaduto in questi mesi di fuoco.

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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