Dalla “lady di ferro” al “principe ereditario”, la nuova leadership del Partito Popolare Danese

Pubblicato il 21 Settembre 2012 alle 18:55 Autore: Antonio Scafati

La Danimarca deve preservare la sua identità; impossibile integrarsi se non si condividono i medesimi valori; l’immigrazione è un pericolo; le comunità musulmane stanno ai primi posti nelle classifiche sulla disoccupazione, i furti, le truffe: concetti sparsi di una leader e di un partito senza mezze misure che alla lotta all’immigrazione ha affiancato nel corso degli anni le idee più classiche della destra sociale, come condizioni di lavoro per le persone più deboli – anziani, disabili – ma anche più severità per reati come lo stupro. E poi c’è l’euro, e poi c’è l’Unione europea: il Partito Popolare Danese critica da sempre Bruxelles giudicandolo una sovra-struttura che ostacola la volontà del popolo, l’esatto contrario dello Stato sovrano. La moneta unica, poi, ha già ampiamente dimostrato il suo fallimento: meglio farne a meno, dicono da anni nel Partito Popolare Danese. Idee condivise anche da altre forze politiche di destra in Scandinavia, dai Veri Finlandesi di Helsinki ai Democratici Svedesi di Stoccolma. Indizio di un sentimento trasversale che attraversa il nord Europa.

Potendo far valere il peso politico di venti e più parlamentari, negli ultimi dieci anni Pia Kjærsgaard è riuscita a portare a casa più di un successo. Soprattutto nel campo dell’immigrazione. C’è il Partito Popolare Danese dietro il contestato ‘sistema a punti’ utilizzato per anni in Danimarca per giudicare le richieste per i ricongiungimenti familiare e i permessi di soggiorno. Conoscenza della lingua, studi, esperienze professionali: tutto fa punteggio, e bisogna superare una certa soglia. Che – sempre su pressione del partito Popolare Danese – è stata portata sempre più in alto, con effetti facilmente immaginabili: il numero di ricongiungimenti familiari è drasticamente calato nel corso degli anni.

L’Unione europea e tante organizzazioni umanitarie non hanno apprezzato tanta severità, e non hanno apprezzato neppure ciò che la Danimarca ha deciso di fare nel maggio del 2011: reintrodurre i controlli alle frontiere.partito popolare danese

Il governo guidato allora da Lars Løkke Rasmussen cedette al pressing del Partito Popolare Danese (che in parlamento promise di ricambiare sostenendo la proposta di riforma pensionistica) e annunciò di voler stabilire controlli doganali ai confini con Germania e Svezia. Claus Hjort Frederiksen, ministro delle finanze dell’allora governo danese, spiegò che “negli scorsi anni abbiamo visto crescere i crimini transfrontalieri: questa decisione punta a frenare il problema”. “Nessuna sospensione degli accordi di Schengen”, dissero i vertici del governo di Copenhagen, cosa che però non bastò a evitare le proteste di Berlino e di Bruxelles. Erano i mesi della guerra in Libia e della Primavera Araba, l’estate era alle porte: “I controlli alle frontiere sono un diritto per i nostri cittadini” spiegò Pia Kjærsgaard: “Abbiamo problemi con gli immigrati dell’est Europa che stanno venendo qui e corriamo il rischio di avere gli stessi problemi con quelli dal Nord Africa”.

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L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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