Dalla “lady di ferro” al “principe ereditario”, la nuova leadership del Partito Popolare Danese

Pubblicato il 21 Settembre 2012 alle 18:55 Autore: Antonio Scafati

Riproporre un controllo doganale per ottenere un obiettivo preciso: meno crimini commessi in Danimarca, meno sforzi da parte di polizia e sistema giudiziario, meno risorse spese. Perché, secondo il Partito Popolare Danese, troppe corone finiscono per essere sprecate. I clandestini rappresentano un peso per l’economia danese, lavorano senza pagare le tasse, non hanno voglia di integrarsi: ridurne il numero in circolazione in Danimarca serve a portare più sicurezza per le strade e a destinare le risorse finanziarie statali ai settori della società danese. Questo il succo dello Kjærsgaard–pensiero. Sintetizzando (e ricorrendo alle parole usate dai vertici del Partito Popolare Danese), le frontiere aperte e l’immigrazione di massa minacciano il welfare danese.

Del resto, pochi giorni prima dell’annuncio di riproporre i controlli alle frontiere, sui giornali danesi era comparso un calcolo del governogli immigrati non occidentali costano alle casse statali 15,7 miliardi di corone all’anno; quelli che provengono dai paesi occidentali producono ricchezza per 2,2 miliardi. Erano i mesi in cui il pressing del Partito Popolare Danese si era fatto più forte, perché più debole era la posizione del governo di Lars Løkke Rasmussen, messo in crisi dai sondaggi negativi e pressato dalle elezioni in arrivo. Ed erano soprattutto i mesi in cui la crisi economica stava mordendo, la disoccupazione saliva, il Pil andava in rosso. In un quadro politico ed economico così delicato, il Partito Popolare Danese ha proposto ricette simili a quelle di altre destre europee: ‘prima i danesi’, adattando il motto dei Veri Finlandesi di Helsinki, che hanno sbancato le elezioni del 2011 al grido di ‘Prima i Finlandesi’.

Finisce l’epoca di Pia Kjærsgaard e comincia l’epoca di Thulesen Kristian Dahl come in un naturale passaggio di consegne. Il quotidiano Politiken l’ha definito ‘il principe ereditario’. Un’elezione puramente formale, la sua: “Sono orgoglioso della fiducia riposta in me”, ha detto sabato al congresso del partito, prima di aggiungere: “Siamo pronti”. Cambia la leadership ma non cambierà il Partito Popolare Danese. Cambierà probabilmente qualcosa sul piano della comunicazione, considerato che il 43enne viene descritto come un uomo dall’approccio più analitico, con capacità di calcolo e di negoziazione. Le voci all’interno del partito, raccolte dal quotidiano Jyllands-posten, descrivono Dahl come un politico che saprà parlare alle imprese meglio di come ha fatto Kjærsgaard: cosa che, se si dimostrasse vera, porterebbe il Partito Popolare Danese a sfidare i conservatori sul loro terreno. Il traguardo resta quello indicato da Pia Kjærsgaard: il governo.

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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