Perchè i partiti non funzionano?

Pubblicato il 5 Ottobre 2012 alle 18:54 Autore: Giacomo Bottos

Questa è all’incirca la situazione dei partiti attuali, e in particolare dell’unico partito che meriti ancora di essere considerato tale, ovvero il Partito Democratico. Le strutture di partito spesso, lungi dall’essere unità specializzate nell’affrontare determinati temi per il bene del partito nel suo intero, tendono ad essere terreno di scontro tra fazioni e cordate interne al partito. Lo stesso “apparato” del partito, che dovrebbe in linea di principio svolgere una funzione tecnica, per favorire l’attuazione della linea politica decisa, essendo dunque in linea di principio quanto più possibile depoliticizzato, scende in campo direttamente nello scontro politico, rendendo il partito nel suo complesso molto spesso incapace di agire.

Per superare questa situazione sarebbe bene recuperare più nettamente la divisione accennata, ridurre il protagonismo dei singoli personaggi e sopratutto riscoprire un forte elemento di elaborazione culturale interna al partito, in modo che questo non sia più semplicemente un aggregatore di interessi, un’agenzia elettorale o un legittimatore di élite provenienti dalla “società civile”, ma il portatore di una vera e propria visione del mondo, di una visione della società e del suo cambiamento possibile. Questo sarebbe il punto di partenza per riuscire nuovamente a coinvolgere larghi strati di società, comunicando maggiormente il valore della politica a chi fosse potenzialmente desideroso di impegnarsi in essa. Il recupero di una struttura definita e capillare sarebbe consustanziale a questo processo, permettendo così ai partiti di recuperare quel legame con la società che da quando si va propagandando il “partito liquido” è stato largamente perso. La partecipazione diffusa permetterebbe di ricreare una discussione vera e non autoreferenziale e anche di recuperare la funzione del partito come strumento di selezione di classi dirigenti, non più provenienti da canali elitari, ma attraverso un reale radicamento popolare. In questo quadro anche i nuovi mezzi di aggregazione, come Internet e anche le strategie di “marketing”, potrebbero giocare un ruolo importante, ma non certo come sostituzione di forme più strutturate e continuative di militanza e partecipazione.

A questo fine sarebbe necessaria una divisione netta tra “militanti” e “simpatizzanti”, dove i primi contribuiscono alla formazione della linea politica e i secondi vengono coinvolti in un secondo momento (naturalmente con la possibilità per i secondi di impegnarsi nel partito). La necessità di questa divisione nasce dalla complessità della società: mentre il partito deve porsi l’obiettivo, per quanto possibile, di “formare” i militanti e di aiutarli a comprendere le problematiche in campo, per quanto riguarda i simpatizzanti questo non è chiaramente possibile fino in fondo e quindi è sufficiente limitarsi a forme di mobilitazione più generiche intorno ad alcuni temi fondamentali e slogan.

D’altra parte il partito dovrebbe rinnovare la sua organizzazione, cercando forme anche più “efficienti”, una volta che l’obiettivo sia stato chiarito per via politica. La formazione dei quadri dovrebbe essere oggetto di un’attenzione rinnovata. Anche la presenza di “scuole di partito” dovrebbe essere recuperata e oggetto di un’attenzione maggiore. Queste scuole non dovrebbero essere autoreferenziali ma a stretto contatto con la riflessione degli intellettuali vicini al partito e con la discussione politica.

Va insomma sfatato l’equivoco che un partito più “leggero” sia maggiormente utile alle esigenze del mondo contemporaneo. E’ invece la strutturazione del partito che gli permette di adempiere ai compiti posti da una società complessa. Non si vede del resto per quale motivo una grande azienda dovrebbe avere tale strutturazione e un partito invece no. Il compito del partito è persino più complesso, in quanto, mentre l’azienda deve solo affermare se stessa, il partito deve avere un punto di vista sull’intera società e un’idea di interesse generale.

Va da sè quindi come il problema dei “costi della politica” sia del tutto fuorviante e mal posto. Il problema non sono i “saldi” di spesa, quanto la loro allocazione. E’ evidente che ripugna ad ogni cittadino lo spreco dei soldi pubblici. Ma se i soldi vengono sprecati, questo avviene principalmente perché l’organizzazione dei partiti non consente loro di adempiere ai reali compiti che dovrebbero svolgere nella società.

L'autore: Giacomo Bottos

Nato a Venezia, è dottorando in filosofia a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore. Altri articoli dell’autore sono disponibili su: http://tempiinteressanti.com Pagina FB: http://www.facebook.com/TempiInteressanti
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