Il Pianeta dei Venti e il sogno americano
Sarà tuttavia solo nella terza ed ultima parte del romanzo che tutti questi nodi verranno finalmente al pettine, e anche qui gli autori sconvolgono le aspettative dei lettori presentando un aspetto, forse amaro ma indubbiamente realistico e logico nell’ottica del romanzo, dei nuovi volatori, o Un’Ala come vengono chiamati nel romanzo: capaci di volare ma incapaci di comprendere appieno il significato dell’essere volatori, iniziano a trasfomarsi da semplici messaggeri a ambasciatori non richiesti, finendo con l’alterare il contenuto dei messaggi e alienarsi le simpatie dei terrieri, i quali a loro volta iniziano ad esercitare il proprio potere politico e militare su di loro. Dovrà ancora essere Maris, costretta a terra da una tremenda caduta che le ha reso impossibile volare, a gestire questa nuova fase di transizione riunendo le due anime dei volatori e riuscendo a impedirne la subordinazione ai terrieri. Non viene tuttavia completamente eliminata l’inquietudine delle ali usate come arma e come strumento di ricatto, né viene esclusa la creazione di una nuova classe egemone – per meritocrazia anziché per diritto di sangue – formata dai volatori, né, infine, vengono esclusi sviluppi che possano portare a futuri conflitti. Il finale è lieto per Maris, ma aperto per il Pianeta dei Venti a mille possibilità, nate dal desiderio di Maris di volare e sviluppatesi ben oltre le originali intenzioni delle persone che li hanno messi in moto.
Sarebbe indubbiamente scorretto definire Il Pianeta Dei Venti un romanzo politico, eppure vi è sufficiente politica – e ideologia – per disegnare il sogno americano di Martin e della Tuttle; soprattutto, il romanzo presenza tratti socio-politici sufficientemente marcati e realistici per costituire un valido banco di prova per le tesi che i due autori si propongono.
Il sogno di Maris di indossare le ali cambia per sempre il mondo in cui vive, in modi che vanno ben oltre le sue intenzioni e in modi che lei stessa giunge a disapprovare. La soluzione, per Martin e la Tuttle, risiede nella spinta individuale votata al bene comune; è ancora un sogno attuale? C’è ancora spazio per le persone come Maris nell’America e nel mondo di oggi?
Forse il messaggio dei due autori è in realtà più vivo ora che negli anni ’70, in un momento storico di difficile crisi economica che non consente di guardare con ottimismo al futuro. È proprio in un simlie frangente che tuttavia si fa vivo il bisogno di interpretare e indirizzare i bisogni della gente comune, abbattendo i privilegi delle caste egemoni senza tuttavia distruggere un sistema – ci dicono George Martin e Lisa Tuttle – comunque più sano di quanto comunemente saremmo portati a credere e nel quale offrire ancora fiducia.