Il nobel per la pace e il sogno europeo
Sessanta anni sono i tre quarti di una vita umana media, con gli standard di vita attuale. La UE non è ancora riuscita a garantire un periodo di pace pari ad una vita intera, eppure quanto ottenuto fino ad ora è già un risultato eccezionale rispetto al periodo precedente.
Eppure, anche se le rivolte di Atene e Madrid non possono cancellare quanto di buono è stato ottenuto dalla UE nel corso della sua esistenza, ne danno tuttavia un’immagine circoscritta, e ne gettano un’ombra che in qualche modo ne sminuisce il valore. Il sogno europeo che animò i padri fondatori dell’Unione appare oggi appannato, privo di slancio, irregimentato nella stesura di regole uniformanti che denotano più di ogni altra cosa una disperata ricerca di identità.
L’assegnazione di un Premio Nobel consiste spesso nel riconoscimento di lavori svolti nel passato, di cui nel presente si godono i frutti e le cui applicazioni costituiscono la base del futuro; ma è proprio sul futuro che sorgono dubbi sulla validità dell’assegnazione del Nobel per la pace alla UE. Oggi l’Unione è ancora un faro di speranza e di unità? Le istituzioni europee, con il loro agire, stanno ancora promuovendo politiche volte all’integrazione tra i popoli?
La speranza è che l’assegnazione di un premio di simile statura e rilevanza possa richiamare gli attuali leader europei alla visione originaria dei padri fondatori dell’Unione e consenta di rilanciare il sogno europeo; altrimenti questo Nobel diverrà soltanto un premio alla carriera per un’istituzione che avrà perso la propria fondamentale ragione di esistere.