Masia (EMG) a TP: tutti i segreti di exit poll e proiezioni

Pubblicato il 12 Maggio 2010 alle 15:20 Autore: Lorenzo Pregliasco

Abbiamo introdotto il tema exit poll. Perché in Italia non si possono fare? Abbiamo visto in Germania domenica, in Gran Bretagna la settimana scorsa risultati assolutamente in linea col dato finale. Cosa c’è di diverso nel nostro Paese?
«In Italia c’è una minor cultura di fronte alla statistica e c’è un tasso di istruzione complessivamente molto più basso rispetto al resto dell’Europa. Ne consegue che c’è un maggior sospetto davanti a rilevazioni di questo tipo e questo si traduce in un tasso di rifiuto straordinariamente consistente soprattutto alle elezioni politiche».

Quanto consistente?
«Le dico questo: prima del 2006 non mi era mai capitato di errare le previsioni degli exit poll. Nel 2006, complice l’affluenza molto alta, abbiamo registrato un tasso di rifiuto più alto di qualsiasi altra elezione: il 120%. Significa che su cento persone che aderivano al sondaggio centoventi rifiutavano. E i rifiuti hanno una distribuzione socio-demografica e professionale che in parte può essere restituita dalla ponderazione, ma in alcuni casi la pesatura non riesce a dispiegare la sua efficacia. Evidentemente casalinghe, pensionati o altre categorie che rifiutano la scheda dell’exit poll non sono scambiabili con quelle che la accettano. Se poi sommiamo che normalmente c’è un margine d’errore intorno al 2%, è chiaro che se dico che una coalizione vince di due punti e mezzo il dato è rischioso di per sé.
Detto questo io sono convinto che in occasione di elezioni europee, regionali o comunali l’exit poll mantenga una sua efficacia. Per quanto riguarda le Politiche, invece, alla statistica bisogna aggiungere un po’ di mestiere, nel senso che la storia ha insegnato che il partito di Berlusconi ha sempre preso di più rispetto all’exit poll. Però questa non è più un’analisi statistica, è fiuto: potremmo per esempio prendere il dato del PDL e aggiungere due punti, togliendoli dal centrosinistra. Ma non si tratterebbe di un’operazione professionale».

Anche il continuo cambiamento di liste, simboli e coalizioni non aiuta.
«Certo, a differenza di altri stati cambiano modalità di voto e partiti. Ecco che la ponderazione, che lavora sul dato storico, ha una sua fragilità nel momento in cui le persone talvolta non si ricordano neanche cos’hanno votato essendo cambiate le liste da un anno all’altro. Non è solo colpa dei sondaggisti: se avessimo solo i democratici e i repubblicani il nostro lavoro sarebbe molto più semplice.

E poi c’è l’aspetto dell’affluenza: in Italia alle Politiche vota l’80% o più, un’affluenza così alta che include probabilmente una quota marginale di elettorato che invece alle amministrative non vota e che non vota neanche in Gran Bretagna o Germania, dove l’affluenza è intorno al 60-65 per cento.
«Esatto, sono spesso pensionati o casalinghe che in genere disertano il voto amministrativo e spesso rifiutano di partecipare all’exit poll. E anche quando partecipano alle volte non indicano il voto passato, perché magari non se lo ricordano».

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L'autore: Lorenzo Pregliasco