Obama, il discorso della vittoria

Pubblicato il 19 Novembre 2012 alle 11:19 Autore: Matteo Patané
Obama

La seconda parte del discorso (poco più del 10% del totale) elenca con decisione quali sono gli ideali che muovono la politica di Obama, gli obiettivi ultimi del suo mandato come presidente e della sua personale visione della politica progressista d’America: deve colpire il fatto che Obama metta al primo posto istruzione e leadership tecnologica e scientifica, e ne parli addirittura prima dell’economia e di quel grande pilastro della giustizia sociale che è l’eguaglianza.
In questo Obama si mostra altamente realista persino quando si tratta di proporre sogni: ha individuato nella supremazia tecnica e scientifica degli USA tanto le cause prime della leadership mondiale del colosso nordamericano quanto il volano della ripresa economica dopo anni di crisi e stagnazione.
Questi punti diventano così la premessa fondamentale per il libro dei sogni vero e proprio, fatto di tolleranza, eguaglianza, mobilità sociale e libertà.

Proprio l’accenno all’economia costituisce il trigger che consente al Presidente Obama di volare verso la terza ed ultima parte del discorso, quella incentrata sulle azioni politiche.
Dopo una doverosa premessa sui miglioramenti economici degli ultimi mesi e sulla necessità – ancora una volta mascherata da patriottismo – di compromessi con i repubblicani, Obama elenca in maniera diretta i principali punti di azione della propria politica economica nel corso di questo secondo mandato: Reducing our deficit. Reforming our tax code. Fixing our immigration system. Freeing ourselves from foreign oil.
Obama non si addentra, né era da aspettarselo, nei dettagli delle sue proposte, ma è chiaro che l’economia sarà il motore del suo secondo mandato; al tempo stesso il Presidente evidenzia, sfumando verso la chiosa finale, le difficoltà che attanagliano e ancora attanaglieranno il Paese, suggerendo solo come attraverso i valori precedentemente elencati – di cui offre esempi a tratti anche lirici – gli USA potranno continuare a giocare il loro attuale ruolo nella politica mondiale.

Tag cloud del discorso di Barack Obama

Di particolare interesse, naturalmente, è il tag cloud del discorso di Obama.
Come si vede, è la parola “America” a dominare il discorso, vuoi per il consueto patriottismo che anima i discorsi dei politici d’oltreoceano vuoi per un ecumenico desiderio di Obama di ricalcare la propria posizione di presidente dell’intero Paese dopo le lacerazioni politiche e sociali di una campagna elettorale particolarmente intensa. Nella stessa accezione si possono considerare i riferimenti a “country” e “nation”.
Non deve poi stupire l’importanza nelle parole del Presidente delle parole “work” e, anche se in misura minore, “job”: è infatti proprio nella ripresa occupazionale la chiave della vittoria di Obama, che ha fatto del lavoro la propria bandiera anche in termini di contrapposizione ad un Partito Repubblicano spesso troppo legato al mondo della finanza.
A queste parole fanno da contorno altri lemmi che aiutano a caratterizzare non tanto l’azione politica di Obama, quanto piuttosto il suo background ed il suo modo di fare e interpretare la politica: i verbi “make”, “want” e “fight”, attraverso cui il Presidente intende rimarcare il modello del sogno americano e ricondurre risoluzione della crisi economica alla volontà e alla capacità degli Americani, le parole “hope” e “future”, termine altamente evocativi nella mobilitazione dell’elettorato e indubbiamente decisivi nel determinare le sorti dell’elezione; a questi fanno da corollario altre parole forse più ai margini ma che consentono di dettagliare meglio il senso ultimo del messaggio di Obama: “love”, “family”, “thank”, “know”, “new”.

Il discorso di Obama si contraddistingue dunque per eleganza e raffinatezza, ma al contrario di come si poteva supporre risulta anche intenso in termini di contenuti e anche piuttosto preciso per quanto riguarda quelli che saranno i temi caratterizzanti del mandato.
Ci si trova di fronte ad un Obama più maturo, forse lontano dalle vette liriche del 2008 quando era il “Presidente del miracolo” ma forse ancora più efficace, avendo trovato il giusto connubio tra la capacità di far sognare e quel cerebralismo così necessario nell’affrontare il vivere quotidiano della politica.

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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