Texas, our Texas…dopo la rielezione di Obama boom di firme per la secessione
Ad onor del vero dopo la conferma del presidente uscente numerosi cittadini hanno pensato di richiedere la secessione del proprio stato dall’unione. A testimonianza di quanto il popolo americano sia diviso, sono comparse sul sito dell’amministrazione medesime richieste provenienti da Louisiana, Georgia, Kentucky, Oregon, Montana, Mississippi, Florida, Arkansas e numerosi altri stati, anche New York ! difficilmente però raggiungeranno lo stesso successo della richiesta texana. “La nostra è una torta in lievitazione da anni, la rielezione di Obama è stata solo la candelina finale” ha affermato Miller a tal proposito.
Sono molti i texani insofferenti verso il governo federale, e altrettanti quelli che vedono in Obama un “usurpatore” del ruolo di presidente. Passino i birthers “à la Donald Trump” che credono che sia nato in Kenya, per gli abitanti del Lone Star State quello che è difficile accettare è il fatto che un presidente da loro tanto odiato sia venuto dopo i due mandati dell’”eroe” locale George W. Bush. Come ricorda un cartellone di benvenuto a Crawford, città del famoso ranch dell’ex presidente, “this is Bush Country”.
Certo, ci sono anche numerosi texani contrari all’indipendenza. Molti hanno votato per Obama, e altrettanti vogliono rimanere nell’unione pur essendo ferventi repubblicani ed è praticamente impossibile, oltre che impraticabile, anche solo pensare ad una indipendenza del Lone Star State. Non accadrà.
Rimane però il significato politico del successo di una tale iniziativa e l’imbarazzo, a Washington come a Austin è certamente notevole tanto allo spingere il governatore (ed ex candidato Presidente alle primarie repubblicane) Rick Perry ad affermare come egli creda “nella grandezza dell’unione e nella necessità che questa non cambi, anche di fronte alla giusta preoccupazione e frustrazione di fronte alle politiche federali”. “Una affermazione ambigua” secondo Miller e sicuramente sofferta da parte di un governatore che solo pochi mesi fa aveva egli stesso ipotizzato una possibile “separazione”.
L’amministrazione dovrà ora fornire una risposta e sarà inevitabile un dibattito sulla questione. Sui forum, sui social networks e sulle maggiori testate giornalistiche online hanno già cominciato a discutere i sostenitori di una o dell’altra opzione. Emblematica a tal proposito la provocazione di un elettore democratico dello stato del Maryland sul sito della CNN: “Secessione del Texas? Lasciate che se ne vadano, ma dopo i soldi federali utilizzati per costruire il muro col Messico, quello fra Texas e Stati Uniti dovranno pagarselo loro”.
E già sono apparse sul sito della Casa Bianca, contropetizioni sull’argomento; per richiedere la separazione di Austin, capitale dello stato e suo unico bastione “liberal”, dovesse il Texas davvero secedere, così come per affermare la necessità di “esiliare chiunque richieda la secessione del proprio stato”.
Fra slogan populistici e risposte “incredule” e “sdegnate” dei politici di turno sarà però inevitabile porsi una domanda: chissà se davvero un giorno, più o meno lontano, non toccherà abituarsi a sentire più spesso quell’inno:
“God bless you Texas, and keep you brave and strong, that you may grow in power and worth, throughout the ages long …”