La Rai dice addio alle proiezioni elettorali?

Pubblicato il 20 Aprile 2011 alle 09:53 Autore: Lorenzo Pregliasco
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Paolo Natale, docente all’Università di Milano ma soprattutto metodologo per le proiezioni elettorali con Abacus e poi Ipsos, precisa che è necessario avere un campione adeguato per poter fornire stime corrette: «talvolta alcuni istituti cercano di risparmiare sul numero di sezioni osservate, perché il costo dipende in buona parte dalle spese per trasferte e pasti dei rilevatori, ma questo incide sulla bontà del dato». Da parte sua, Ipsos nel 2008 ha monitorato per le proiezioni per Mediaset il voto in 1.300 sezioni, vale a dire oltre 750 mila schede scrutinate in tutta Italia: «per un’elezione locale, come può essere il caso di queste amministrative, si può stare sul 5-6% dei seggi totali nelle città più grandi, ma è chiaro che in una piccola città come Sondrio, dove ci sono solo 20 sezioni, bisogna avere una copertura maggiore: e anche a Bologna difficilmente scenderei sotto i 30 plessi, che vuol dire quasi il 10% del totale».

Schietto, in particolare sulla scelta della Rai di non divulgare proiezioni sul voto amministrativo (esordisce con «le polemiche lasciano il tempo che trovano»), è Nicola Piepoli, dell’omonimo istituto di sondaggi e ricerche di mercato: «io sono un tecnico, se la Rai mi chiama – come solitamente fa – partecipo alla gara e, se vinco, cerco di fare il miglior lavoro possibile; se non viene indetto un appalto la cosa non mi interessa, vuol dire che i dati li guarderò da spettatore».

Con Piepoli, decano dell’ambiente, c’è anche il tempo per un excursus storico: «sa dove sono state fatte le prime proiezioni elettorali nel mondo? Qui in Italia, nel 1953: il Partito comunista voleva verificare in tempo reale se il premio di maggioranza della cosiddetta legge-truffa sarebbe scattato o meno». I risultati? «Il responsabile di quella ricerca, uno dei fondatori delle ricerche di marketing, Celso Ghini, dopo quattro ore diffuse tramite l’ANSA una stima secondo cui il meccanismo non sarebbe passato per lo 0,50%. Solo quattro giorni dopo il ministro dell’Interno Scelba divulgò le cifre ufficiali: 0,51%, un risultato incredibile». Una ventina d’anni più tardi, era il 1976, le proiezioni sbarcarono anche sulla Rai: con Doxa, su RaiUno, e Demoskopea, su RaiDue: «il buon risultato di Doxa spinse la Rai a puntare su questo istituto, che infatti mantenne il monopolio fino alla fine della Prima Repubblica, nel ’92-’93». Da allora Abacus, Ipsos, Nexus, Emg, lo stesso Piepoli hanno lavorato con l’emittente di Stato o con Mediaset per fornire i numeri del giorno del voto. «Lo scopo oggi è di fornire ai media il materiale necessario per commentare quando l’informazione è calda, un tratto essenziale in una società veloce come la nostra. Ma in fin dei conti la metodologia è quella di sempre: tra i 300 e i mille seggi di campione per mettere in piedi una proiezione nazionale, 100-150 per una rilevazione locale. L’invenzione, voglio ripeterlo, è di Celso Ghini, un italiano geniale che ho avuto l’onore di conoscere».

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E non dispiacerebbe, a Piepoli, che un’invenzione italiana («siamo leader mondiali, non dobbiamo auto-svalutarci», ammonisce) sparisse dagli schermi della tv pubblica? «Sarebbe una decisione insindacabile dell’azienda. E poi, mi creda, anche senza proiezioni gli italiani vivono bene lo stesso». Ma la Rai, alla fine, le farà queste proiezioni? «Non commento… secondo lei non le farà? Si informi», chiude sibillino.

L'autore: Lorenzo Pregliasco