Dal Blog: Le mirabolanti avventure di MPS, brevemente riassunte

Pubblicato il 26 Gennaio 2013 alle 17:55 Autore: Giovanni De Mizio

L’operazione Alexandria ha una dinamica simile, anche se con strumenti diversi: per evitare di dichiarare una perdita e non avere dividendi da distribuire sul “territorio”, MPS giunge a un accordo con la giapponese Nomura al fine di abbellire i propri bilanci. Come la martingala di cui sopra, piuttosto che ammettere la perdita su Alexandria (i famosi CDO, i titoli salsiccia tossici, quelli che anni addietro dicevo che erano finiti chissà dove e sarebbero esplosi chissà quando – eccoveli), MPS si accorda con Nomura per scaricare su quest’ultima tale perdita. In cambio MPS entra in un’altra operazione, che comprende uno scambio di attività (asset swap) e due pronti contro termine trentennali. In parole povere, MPS voleva spalmare la perdita di Alexandria su 30 anni, scambiando i CDO con BTP a 30 anni, trasformati in titoli a tasso variabile (l’asset swap). Dato che però MPS i soldi non ce li ha, se li fa prestare dalla stessa Nomura dando in garanzia i BTP, che dovrà in futuro riacquistare a un prezzo più elevato (il pronto contro termine). Ironia delle ironie, pochi mesi dopo i CDO aumentano di valore, mentre i BTP subiscono perdite enormi.

Fatto sta che, a furia di aumentare la posta in gioco, il portafoglio di MPS ha raggiunto dimensioni colossali, se rapportato alle attività totali della banca. Adesso, a dire la verità, le cose non vanno neanche così male per quel portafoglio, ma basta un niente per tornare a quando perdeva miliardi di euro. Il problema è che a fronte di tale gestione e delle perdite accumulate, il capitale della banca è stato in parte bruciato, e se le cose dovessero andare di nuovo peggio, c’è il rischio concreto di buttare altre banconote nel camino. Per questo MPS ha deciso di aumentare il proprio capitale sociale, anche a garanzia dei Monti bond, qualora la banca decida di utilizzarli.

Va ricordato che MPS, mentre oggi è guidata da banchieri per professione, all’epoca era guidata da un avvocato, Giuseppe Mussari, poi divenuto presidente dell’associazione che riunisce le banche italiane. Questo solo per fissare nella memoria che, se tale avvocato è arrivato ai vertici del salotto bancario italiano nonostante la sua innata capacità di passare come niente da un bagno di sangue all’altro, il sistema bancario italiano potrebbe avere più di un problema, e che il sistema delle fondazioni (politiche) che dominano lo scenario e difeso ieri sera da Fassina (PD), più che rifondato, andrebbe affondato. E poco interessa se, come diceva Monti, in altri Paesi come la Germania la commistione finanza-politica è ancora più diffusa e funziona meglio: questo semmai dimostra che i politici tedeschi qualcosa di finanza ci capiscono, i nostri no. In Germania si usano i soldi delle banche per finanziare progetti, imprese e famiglie, qui si usano per distribuire mancette di carta straccia sul territorio.

Per cui evitiamo di lanciare strali contro i derivati: essi non sono che uno strumento, come un martello, che posso usare per appendere un quadro o per spaccare crani. Il problema non sono i derivati (tra l’altro neanche troppo complessi: equity collar e asset swap non sono niente di così esoterico, se hai una vaga idea di che stai combinando, e i pronti contro termine non sono neanche un derivato).

Il problema è che la nostra classe dirigente farebbe fallire pure la banca del Monopoli.

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