I Paesi Scandinavi e i benefici del bilancio Ue

Pubblicato il 14 Febbraio 2013 alle 12:35 Autore: Antonio Scafati

La Svezia invece sì. L’asse anglo-svedese è piuttosto solido e a Bruxelles il premier Reinfeldt ha spalleggiato la linea dell’inglese David Cameron. Parole d’ordine: meno spesa, da declinare a livello continentale (ridurre il bilancio) e nazionale (ridurre il proprio contributo). Così è stato. Reinfeldt è riuscito a strappare uno sconto di circa mezzo miliardo di corone. Poca cosa, secondo l’opposizione di centrosinistra, ma è comunque uno sconto.

Reinfeldt ha parlato di un buon accordo per la Svezia, e si tratta di una boccata d’ossigeno in una fase nella quale continuano a farsi sentire i problemi all’interno della sua maggioranza. Al di là delle polemiche tra quattro i partiti che compongono l’esecutivo (l’ultima, scoppiata in questi giorni, riguarda la spesa per la difesa militare) sono i sondaggi a preoccupare. I Moderati del premier oscillano tra il 28 e il 29% e i laburisti non sono per niente distanti (31%), ma il problema si chiama ancora Partito di Centro, dato sotto la soglia del 4%. Mikael Sundström, docente di scienze politiche all’università di Lund, lo ha spiegato bene: se la leader Annie Lööf non riuscirà a risolvere le questioni interne entro l’estate, a quel punto sarà probabilmente troppo tardi. E le ripercussioni in termini elettorali sull’intera maggioranza potrebbero essere determinanti.

Cambia il paese, cambia la coalizione ma i nomi restano identici. In Norvegia infatti è proprio il Partito di Centro quello che sembra attraversare la fase più turbolenta. Argomento di discussione – e divisione – è il petrolio: dove andare ad estrarlo e che ruolo esso debba avere nel futuro del paese. Domande d’un certo peso, queste: e a farsele non sono solo i centristi. Lo scorso fine settimana, presentando un documento sulle prospettive dell’economia norvegese da qui al 2060, il ministro delle Finanze Sigbjørn Johnsen ha detto sostanzialmente che il petrolio non può risolvere tutti i problemi e non potrà farlo soprattutto in futuro. Parole condivise dal premier laburista Jens Stoltenberg. La sfida per la Norvegia, ha detto il ministro, ha a che fare con l’invecchiamento della popolazione, e quindi con la capacità di adattare il welfare ai cambiamenti, e quindi con la tenuta dei conti pubblici.

Se non si cambierà nulla, ha ammonito Sigbjørn Johnsen, nel 2060 . Soluzioni? Secondo il capo del dicastero delle Finanze, se si vorrà mantenere lo stesso livello di ricchezza e la stessa generosità nel welfare, si dovrà lavorare di più o più a lungo. Inevitabilmente l’età pensionabile dovrà essere spostata in avanti. Il futuro del paese non si giocherà sul petrolio ma sulle scelte (anche difficili) che verranno fatte nei prossimi anni. E la chiave, dice Johnsen è una sola: il lavoro come base per il benessere economico di ciascun individuo, ma anche come ingrediente imprescindibile per la sostenibilità dello stato sociale.

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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