Nucleare: il problema della dipendenza energetica

Pubblicato il 8 Giugno 2011 alle 09:23 Autore: Matteo Patané
nucleare

Il 29 settembre 2010 (dunque ben prima dell’incidente di Fukushima e dei relativi strascichi sul piano politico) il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel corso del discorso alla Camera dei Deputati in cui chiese la fiducia del Parlamento sull’azione del Governo, rilanciò con decisione il progetto energetico nucleare in Italia, con le parole:

Significa fornire ai nostri cittadini e alle nostre imprese fonti di energia economicamente convenienti, rispettose dell’ambiente e che nel contempo riducano la pericolosa dipendenza energetica del nostro Paese; e la sola risposta, oggi, è il nucleare, una sfida che dobbiamo perseguire con convinzione e determinazione.

Il tema forse di maggior impatto tra quelli toccati dal premier è quello dell’indipendenza energetica, o meglio della riduzione di dipendenza, di cui si gioverebbe il nostro paese nel passaggio al nucleare.

L’accordo siglato il 24 febbraio 2009 tra Italia e Francia prevede, come primo step, la costruzione su suolo italiano di quattro centrali a partecipazione condivisa ENEL ed EDF a tecnologia EPR al più tardi entro il 2023. La vita media prevista per tali centrali nucleari sarebbe di 60 anni, circa il 50% in più delle centrali di seconda generazione costruite nel secolo scorso e più del doppio dell’età media delle 441 (dato settembre 2010) centrali attualmente operative nel mondo.

Veramente tali reattori potranno garantire all’Italia l’indipendenza energetica come sostenne Berlusconi, senza dover dipendere dai capricci dai signori del petrolio e del gas naturale? Veramente tale indipendenza significherà una bolletta energetica meno salata?

Riserve mondiali di uranio in miniera
accertate e dedotte (2009)

Come mostra la tabella, ricavata dal sito World Nuclear Association, l’Italia e in generale l’Unione Europea non dispongono all’interno dei propri confini di giacimenti di uranio, il combustibile nucleare utilizzato nei reattori EPR e in generale nella quasi totalità delle centrali nucleari attive e di prossima progettazione nel mondo.

La tabella riporta la quantità di uranio conosciuta e stimata suddivisa per Paese, ed estraibile in termini economicamente vantaggiosi (con le attuali tecnologie e con prezzo dell’uranio a 130 $/kg). Come si vede, rispetto al petrolio i principali paesi fornitori di uranio, in special modo Australia e Canada, sono stabili politicamente e amici o addirittura parte integrante della cosiddetta “civiltà occidentale”. Importare dall’Australia o dal Canada non è certamente la stessa cosa rispetto a importare dalla Russia o dai Paesi Arabi.

D’altra parte nel mondo del nucleare si sono venuti a creare dei veri e propri cartelli che nulla hanno da invidiare a quelli petroliferi, con 7 compagnie che nel 2009 controllano oltre l’80% delle attività estrattive (Areva, Cameco, Rio Tinto, KazAtomProm, ARMZ, BHP Billiton e Navoi) e arridittura solo 4 che raggruppano oltre l’80% degli impianti di arricchimento. La francese Areva spicca tra queste per l’appartenenza ad entrambe le categorie.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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