Referendum: (il)legittimo impedimento

Pubblicato il 9 Giugno 2011 alle 07:39 Autore: Francesca Petrini
riforma della Giustizia tribunale

Sulla decisione d’incostituzionalità della legge n. 51/2010 hanno pesato alcune censure d’illegittimità costituzionale che indussero la stessa Consulta, con la sentenza n. 24 del 2004, a dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 1, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (c.d. lodo Schifani). Quali erano allora le violazioni “dei principi fondamentali dello Stato di diritto” accertate dai giudici costituzionali? Con una formula sintetica possiamo definirle così: generalità dei reati oggetto dei processi sospesi e automatismo della sospensione insuscettibile di ogni filtro o accertamento della plausibilità o ragionevolezza della tutela differenziata. In effetti, il carattere automatico o ex lege della protezione impedisce ogni verifica sul rispetto del principio di proporzionalità: e la stessa giustificazione della deroga al principio della parità di trattamento di fronte alla giurisdizione, che è all’origine della formazione dello Stato di diritto, non può essere fondata su indici obbiettivi, né tantomeno rimediata dalla rinunziabilità della sospensione su richiesta dell’imputato o del suo difensore.

Ebbene, con la sentenza dello scorso gennaio, la Corte ha abrogato la parte della legge 51/2010, che avrebbe consentito al Capo del Governo e ai Ministri di sottrarsi a qualsiasi procedimento penale e, in sostanza, correggendo in parte la norma, l’ha ricondotta nell’alveo costituzionale dell’istituto che protegge il diritto alla difesa. In particolare, poiché la norma della legge n. 51 del 2010 forzava la mano, ovvero non prevedeva una concomitanza in concreto con un atto formale, ma una forma di prerogativa, bilanciando ragionevolmente gli interessi in gioco, la sentenza fa cadere l’impedimento continuativo e corregge quello per concomitanza: elimina qualsiasi automatismo dal comma 3 dell’articolo 1 della legge 51/2010, stabilendo che resta al giudice la possibilità, anzi il dovere, di valutare  se l’impedimento sia concreto, fatta salva la possibilità di ricorrere alla Corte costituzionale nel caso in cui membri del Governo ritengano che non sia stato rispettato il principio di leale cooperazione. Si stabilisce inoltre l’illegittimità del comma 4 dell’articolo 1 della legge oggetto di giudizio di costituzionalità, che consentiva alla Presidenza del Consiglio di autocertificare senza limite l’impedimento, e si precisa che l’elenco delle attività che possono comportare un legittimo impedimento a comparire in udienza, come previste dal comma 1 dell’articolo 1delle legge 51/2010 , può avere esclusivamente natura esplicativa e, di fatto, nulla aggiunge a quanto già ricavabile dall’articolo 420-ter del codice.

Se allora ci si chiede perché andare a votare al referendum sul legittimo impedimento quando il quesito non si riferisce più al testo originario della legge, ma a quello che risulta dopo l’intervento più che incisivo della Corte costituzionale dello scorso gennaio, la risposta è semplice! Si tratta di esprimere apertamente la propria disapprovazione rispetto all’ennesimo tentativo di emanare leggi ad personam, nell’intento più o meno velato di allontanare il Premier dai processi in corso che lo vedono imputato. Senza dover scorrere una per una le leggi ad personam approvate in questi anni, è però utile soffermarsi su alcuni provvedimenti di legge che, nel favorire il Presidente del Consiglio, hanno di fatto inciso pesantemente sull’ordinamento giuridico:

2001, rogatorie internazionali il governo Berlusconi fa approvare una legge che complica le procedure e stabilisce i “nuovi” requisiti per gli atti richiesti all’estero dai magistrati italiani e che sono ritenuti necessari alle indagini. La legge quindi impone “l’inutilizzabilità di tutti i documenti trasmessi da giudici stranieri che non siano in originale o autenticati con apposito timbro”, anche se l’imputato non ha mai eccepito la loro autenticità. Si tratta di un tentativo di annullare per legge le prove raccolte dai magistrati nel processo in cui è imputato l’avvocato Cesare Previti, accusato di corruzione di alcuni giudici;

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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