Dossier: la nuova legge sul fine vita

Pubblicato il 21 Luglio 2011 alle 10:12 Autore: Francesca Petrini

Tra crisi finanziarie e richieste di arresto, sulla questione del testamento biologico si è arrivati ad un verdetto legislativo: ecco tutti i punti controversi della nuova legge

fine vita

Per quanto concerne i contenuti e i limiti della dat, già dalle prime righe del testo dell’articolo 3, dove si legge che “il dichiarante esprime il proprio orientamento sui trattamenti sanitari in previsione di un eventuale, futura perdita della propria capacità di intendere e di volere”, si capisce che è qui il nocciolo del problema (intenti o indicazioni espressi in qualsiasi altra forma non hanno valore e non possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione della volontà del paziente). Una delle previsioni che appare più sconcertante se si pensa alla ratio di una disciplina giuridica sulle dat è quella secondo cui la dat “assume rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale e, pertanto, non possa assumere decisioni che lo riguardano”. Ciò, infatti, significa che il campo di applicazione della normativa, ovvero la platea dei cittadini cui essa si rivolge, si restringe al solo campo delle persone in stato vegetativo che, secondo il rapporto di un gruppo di lavoro nominato dal sottosegretario Roccella, sono circa 2500 in Italia. Si noti che questa disposizione riporta il testo del disegno di legge a com’era originariamente, prima che la Commissione del Senato disponesse l’ampliamento della platea e poi il testo, così modificato, passasse all’esame della Camera.

Un altro punto estremamente dibattuto e su cui più si dividono gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra, anche al loro interno, riguarda nutrizione e idratazione artificiali (nia). Nel testo è previsto chiaramente che questi trattamenti non sono nella disposizione del paziente, ovvero che il cittadino non può sottoscrivere una dat in cui si chieda la sospensione di essi: in particolare, dopo un richiamo al rispetto della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità di 2006, nel testo si legge che “alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente in fase terminale i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”. In sostanza, tale formulazione normativa, parte di un emendamento votato dall’Aula, non considera nutrizione e idratazione artificiali come terapie, dunque trattamenti sanitari rifiutabili, ma come forme di sostentamento vitale, ovvero atti medici “inviolabili e indisponibili” fintantoché non si rivelano “inutili”: qui, forse, una delle più manifeste violazioni del diritto all’autodeterminazione terapeutica di cui all’articolo 32 della Costituzione, da ultimo, riconosciuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 438 del 2008.

Altre caratteristiche delle dat descritte nel testo della legge, come modificato dalla Camera dei deputati, stabiliscono che esse debbono assumere la forma scritta, sia dattiloscritta che manoscritta, e che hanno valore solo temporaneo, ovvero sono limitate ad un periodo di 5 anni: durante il suddetto periodo si prevede sempre la possibilità sia di modifica che di revoca, mentre trascorsi 5 anni, per essere valide, esse devono essere appositamente rinnovate. Nella dat, documento che va necessariamente inserito nella cartella clinica del paziente, il soggetto maggiorenne, capace di intendere e di volere, può anche nominare un fiduciario, ovvero una persona che sarà “unico soggetto legalmente autorizzato a interagire con il medico”, che però, secondo quanto disposto dal testo modificato dalla Camera, non potrà essere il convivente. Si noti che il medico non è vincolato alle volontà espresse dal paziente nella dat, in quanto la legge prevede che egli le “prende in considerazione” solo se non “orientate a cagionare la morte o in contrasto col codice deontologico”. Dunque, se si considera altresì l’abolizione della disposizione che prevedeva un collegio medico con la funzione di dirimere le controversie tra familiare, fiduciario e medico, quest’ultimo, specie nei processi di fine vita, ha di fatto “aumentato i suoi poteri”, in piena conformità alla vecchia teoria del paternalismo in campo medico e contrariamente a quanto più di recente è stato affermato nel senso dell’autodeterminazione terapeutica del paziente.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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