Il “maestro” Napolitano e gli “allievi” magistrati

Pubblicato il 29 Luglio 2011 alle 10:53 Autore: Francesca Petrini

L’ultimo discorso del Capo dello Stato rivolto alle toghe ha suscitato qualche polemica. Ma nelle parole dello stesso Napolitano sono state ben inquadrati anche i principali problemi della giustizia italiana.

napolitano e i magistrati

Dunque, evidentemente, il Presidente della Repubblica ha usato parole forti e cariche di significato, anche politico: in maniera altrettanto chiara, però, ha sottolineato come “il rispetto di questi elementari principi e la capacità di calare le proprie decisioni nella realtà del Paese – facendosi carico delle ansie quotidiane e delle aspettative della collettività – possono impedire o almeno attenuare attriti e polemiche in grado di lasciare strascichi velenosi e di appesantire le contrapposizioni tra politica e giustizia”. Il giorno seguente, nel rispondere alla “dietrologia” di alcuni, lo stesso Napolitano ha ribadito, durante la cerimonia del Ventaglio, che tutto ciò ha voluto essere un richiamo “a comportamenti che non offuschino la credibilità e il prestigio dei magistrati e non indeboliscano l’efficacia dei loro interventi a tutela della legalità” e, non mai un monito alla magistratura che, mettendo sullo stesso piano chi commette i reati e chi li combatte, si sarebbe potuto iscrivere in una lettura della situazione che descrivesse piuttosto una “guerra fra bande” (cit. Di Pietro). Nella stessa occasione, parlando dei temi della giustizia, su cui era stato interpellato dal Presidente dell’Associazione stampa parlamentare Pierluca Terzulli, il Presidente Napolitano ha quindi citato una frase del Presidente dell’Associazione nazionale magistrati che ha esortato i magistrati ad essere “inappuntabili e professionali”: “anche così – ha chiosato – si vanificano attacchi inammissibili alla magistratura e si disinnesca un fuorviante conflitto tra politica e magistratura”.

Del discorso tenuto alla riunione augurale con i magistrati ordinari in tirocinio, si sono quindi valutati solo certi aspetti: pochi, se non inesistenti, i commenti e le riflessioni su quella parte del discorso di Napolitano che forse, poiché ripetuta per l’ennesima volta, non ha più di tanto scandalizzato né preoccupato gli esponenti politici. Il Presidente della Repubblica ha, infatti, ancora una volta, posto l’accento sulle gravi inadeguatezze normative e strutturali” del nostro sistema di giustizia, “rispetto alle quali hanno tardato e tardano risposte di riforma, da concepire peraltro con organicità, con equilibrio e con volontà di ampia condivisione”. Egli è dunque tornato a denunciare “il funzionamento gravemente insufficiente del “sistema giustizia” e la crisi di fiducia che esso determina nel cittadino destinato, come titolare di bisogni e di diritti, a farvi ricorso”, e ha incoraggiare “uno sforzo ulteriore per una migliore organizzazione dei servizi, un’adeguata, coerente e sistematica semplificazione dei procedimenti, un’ampia diffusione di quelle tecnologie informatiche”. Su tutti questi argomenti, il Presidente Napolitano chiaramente auspica che “permanga vigile l’attenzione del legislatore”, di modo che si possano “affrontare senza fatali ulteriori incertezze, lentezze e false partenze, le strozzature che dal lato del sistema giustizia maggiormente pesano sullo sviluppo complessivo del paese”.

napolitano e i magistrati

Da ultimo, parlando della funzione di fondamentale interesse nazionale di cui è portatrice la magistratura, con l’obbligo di intervenire di fronte a “ogni singolo, concreto caso in cui si manifestino sindromi di violenza, forme vecchie e nuove di corruzione, abusi di potere e attività truffaldine, che oggi dominano la cronaca quotidiana”, pare che il Presidente abbia voluto esprimere l’augurio per cui si miri “tutti assieme” ad “un recupero di funzionalità, e insieme di razionale e limpido profilo, del sistema”, piuttosto che uno sgarbato monito alla magistratura per il suo operare. In sintesi, si è forse trattato di un’interpretazione distorta del richiamo ai “discepoli”, prossimi a farsi garanti in prima persona dell’autonomia e dell’indipendenza del ruolo di magistrato e, oggi come oggi, facile bersaglio di uno strabico conflitto politico, al “dover essere inappuntabili e professionali nel perseguire i reati tanto più ci sono fatti gravi che coinvolgono il Palazzo”.

 

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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