Intervista a Marco Calamai, l’allenatore che ha portato la pallacanestro ai disabili

Pubblicato il 16 Maggio 2013 alle 17:49 Autore: Nadia Ruggiero

Quindi è nata l’idea di far giocare insieme ragazzi disabili e normodotati. Cosa insegna questa integrazione agli uni e agli altri?

È un processo su due binari. Il ragazzo disabile vede il normodotato che gioca con lui in partita come un esempio, un punto di riferimento, acquista sicurezza ed esempi positivi a cui tendere. Il normodotato sente di poter essere di aiuto a un altro, di poter insegnare qualcosa. Sono contrario alle generalizzazioni sugli adolescenti che li vedono come disimpegnati, poco emotivi, asettici, menefreghisti. La verità è che viviamo in un mondo malato, dove non ci sono progetti di vita veri, dove tutto è tecnologico, stereotipato e meccanizzato. Ma se si dà a questi ragazzi un progetto di vita vera, nonostante non si guadagni nulla e si rischi persino di prendere una brutta risposta o una spinta da un ragazzo impaurito, il loro atteggiamento cambia. Abbiamo avuto il riscontro dalle famiglie. Le mamme dei ragazzi normodotati mi ringraziano perché i loro figli, che praticamente rinunciano a due ore di studio per allenarsi, non rispondono più male e mangiano tutto.

Quali sono state le Sue più grandi soddisfazioni?

Un esempio è Sara, una bambina di dieci anni che non aveva mai parlato. Alla fine di un allenamento una palla l’ha colpita ad una gamba e le ha scatenato il pianto. Con un esercizio di palla accarezzata sulle gambe l’ho riportata al sorriso. Lei mi ha condotto nell’altra sala e mi ha fatto vedere che sapeva tirare a canestro, salendo su un tavolo. Prima di andar via, quando l’ho salutata, come tante altre volte, lei mi ha risposto. Non aveva mai detto una parola in dieci anni di vita. E da lì in poi ha parlato.

Quali sono i Suoi progetti per il futuro?

Desidero entrare in più stretto contatto con le realtà europee di gioco e disabilità per internazionalizzare questa progettualità. Vorrei che ci fosse sempre più integrazione, che ogni società di normodotati accogliesse ragazzi disabili. Vorrei che le Paralimpiadi scomparissero e che ci fosse un’Olimpiade unica, dove tutti possano partecipare, che il villaggio olimpico fosse unico per disabili e normodotati e che ognuno partecipasse alle competizioni per i tempi che fa, per le capacità che ha, e non perché è segnato da una diagnosi. Tutti siamo uguali nella diversità. Uguali nei diritti e diversi nelle competenze.

L'autore: Nadia Ruggiero

Di origini campane, si è specializzata in Mass Media e Comunicazione presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II e ha conseguito il master Social Media Marketing & Digital Communication alla IULM di Milano. Giornalista pubblicista iscritta all'Albo, per la testata online Termometro Politico ha inaugurato le rubriche culturali e contribuito alla redazione di numerosi articoli. Come addetta stampa ha curato una campagna di comunicazione per il lancio di un progetto musicale basato sul crowdfunding. Vive e lavora a Bologna.
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