Le conseguenze delle primarie in Puglia

Pubblicato il 25 Gennaio 2010 alle 15:08 Autore: Livio Ricciardelli
Le conseguenze delle primarie in Puglia

Abbiamo avuto modo nelle scorse settimane di trattare sia il tema delle elezioni regionali, e di conseguenza delle candidature alla presidenza delle varie regioni, sia il tema della situazione pugliese che a quanto pare necessitava realmente delle primarie per eliminare le proprie controversie interne e individuare un singolo candidato alla presidenza.

Quello che dunque inizialmente può apparire un test di rilevanza regionale è in realtà una partita molto più ampia sia sul piano delle possibili alleanze a livello nazionale sia per le ripercussioni all’interno delle forza politica che per forza di cosa appare essere la sconfitta di questa elezione: il Partito Democratico.

Tralasciando la figura pur sempre competente e preparata di Francesco Boccia, che già qualcuno chiama il “Mariano Rajoy di Bisceglie” per le due consecutive sconfitte contro il medesimo candidato, è evidente che la copiosa partecipazione alle primarie dell’elettorato ha rivoluzionato e modificato quelli che sono a livello regionale gli equilibri dei partiti: già nel corso delle primarie di coalizione per le regionali del 2005 il favorito appariva Boccia in quanto sostenuto da Ds e Margherita. Ma gli 80.000 elettori votarono e si espressero, con un leggero scarto, a favore del candidato appoggiato da Rifondazione e dalle altre forze della sinistra. Questa volta però il numero dei votanti è quasi triplicato ed il consenso per Vendola è stato molto più elevato.

A dir la verità, che il popolo delle primarie ribalti i pesi elettorali dei singoli partiti non è assolutamente una novità: il meccanismo delle primarie fu utilizzato anche per individuare lo sfidante di Totò Cuffaro alla guida della regione Sicilia nel 2006. Se si fossero sommate le percentuali dei partiti della coalizione, il vincitore sarebbe stato senza dubbio Lettieri, ora passato al Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo, che era sostenuto dalla Margherita e dall’Udeur. Ma stravinse Rita Borsellino.

Ovviamente ci sono anche i lati negativi di questo “sfasamento”: l’alta percentuale di partecipanti alle ultime primarie del Pd in Calabria non rappresenta per questo partito una posizione di forza in quanto i risultati del Pd calabrese sono ben lontane dall’essere soddisfacenti.

Da questa situazione possiamo sostanzialmente dedurre due conclusioni:

• La prima è che l’antico motto, risalente alla notte dei tempi della politica secondo cui “uno più uno non fa mai due” è assolutamente corretta. La prima dimostrazione eclatante di questo enunciato, nella storia repubblicana nazionale, è quella delle elezioni politiche del 1968 in cui la lista unica Psi-Psdi (che assunse il nome di Psu), primo dei tanti vani tentativi di ricomporre l’unità socialista, fallì miseramente.

È infatti opinione diffusa che, considerando che la somma aritmetica dei voti di due partiti distinti è di per sé statisticamente impossibile, il numero di voti può aumentare rispetto alla somma o diminuire solo in base ad una cosa: la credibilità della proposta politica.

Un esempio più recente è forse quello della lista Uniti nell’Ulivo che si presentò alle europee 2004 e che, secondo i calcoli di chi erroneamente pensava che la somma dei voti dei partiti fosse una questione puramente aritmetica, doveva avere come obiettivo il 35%, una somma che si otteneva tenendo conto dei dati delle politiche 2001: Ds 16,6%, Margherita 14,7%, Sdi 1,1% (metà del 2,2% preso insieme ai Verdi nella lista del Girasole) e infine i Repubblicani Europei a compensare qualche piccola falla nel sistema.

Ovviamente non si giunse a quel 35%: la lista ottenne comunque un buon risultato, ma pur sempre minore di quello che ottenne la lista dell’Ulivo alla Camera nel 2006. Una lista che teoricamente, secondo “i geni dell’aritmetica” avrebbe dovuto prendere ancora meno voti, per via dell’uscita dei socialisti, convolati a nozze coi radicali per la lista della Rosa nel Pugno: mentre allo stesso tempo le liste separate di Ds e Margherita ottenevano al Senato un risultato complessivo ben al di sotto del 30%.

Tutto ciò dovrebbe far capire a una parte dei dirigenti del Pd che non ci si può permettere, come ben ha detto domenica il sindaco di Bari Emiliano, di elaborare strategie politiche a tavolino tenendo conto solo di quella scienza basata sulle percentuali e sui voti alle lista che, in quanto tale, più che scienza rischia di divenire pura alchimia.

• Il secondo aspetto riguarda strettamente il Pd e manifesta come forse molte responsabilità sulla sconfitta di Boccia ricadono proprio sul Pd stesso.

Non soffermerò sul fatto che per settimane molti dirigenti del Partito Democratico hanno cercato di evitare le primarie per convergere su Boccia con l’appoggio dell’Udc (scaricando per forza di cose il governatore uscente), ma su un singolo aspetto della vicenda: abbiamo discusso prima di come il Pd, con la sconfitta del proprio candidato, pur essendo il partito più forte della regione ha avuto la peggio su un candidato formalmente sostenuto da partiti con molti meno voti. Ebbene questo ribaltamento apparente dei rapporti di forza è per certi versi causa del Pd stesso. Infatti, sia il fatto di essere arrivati alle primarie solo il 24 gennaio, sia il fatto di non aver trovato una quadra tra Boccia e Vendola, è in primo luogo dovuto alla necessità di stringere un’alleanza del Pd con l’Udc a livello regionale. Quindi da un certo punto di vista il Pd è stato vincolato, nella propria azione politica, da un’altra forza politica ben più piccola! Possiamo quindi ben dire che, come il principale partito di centrosinistra ha capitolato col proprio candidato di fronte alla scelta degli elettori, esso era capitolato ben prima subendo una forma di ricatto, o comunque un forte condizionamento, da parte di una forza politica che per quando fondamentale nella partita regionale è pur sempre un quinto del Pd in Puglia.

Nonostante la grande partecipazione alla primarie sia di per sé un fatto positivo (capace tra l’altro di rafforzare il candidato di centrosinistra anche dal punto di vista mediatico) e nonostante la quasi sicura decisione dell’Udc di correre da sola, sventando il rischio che Casini potesse passare direttamente ad un appoggio al candidato del centrodestra (Palese), l’esito delle elezioni e l’ampio margine di Vendola sul candidato democratico preoccupa molto a Sant’Andrea delle Fratte.

E può apparire come uno smacco a quelli che dovevano essere i due elementi di punta della segreteria Bersani: il partito “pesante” e le ampie alleanze, compresa quella coi centristi.

 

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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